“Pieni poteri!”: una suggestione antica quanto l’umanità, un’ossessione e una persecuzione. Chi li evoca e chi li invoca, chi li esercita e chi li subisce, spesso però avendo contribuito a conferirli. Perché, dove c’è uno che ha pieni poteri, c’è una massa di persone e un coacervo di istituzioni che hanno abdicato ai propri, per ignavia o per paura.

Nell’Europa del XX secolo, quella degli ‘ismi’ più cruenti della storia, i dittatori sono quasi sempre arrivati al potere “per volere del popolo”, che ha poi impiegato parecchio tempo per riuscire a disfarsene. Eppure, il fascino perverso dei pieni poteri continua a contaminare l’Europa del XXI secolo, dove e quando la democrazia è percepita come una pastoia all’efficienza e, soprattutto, alla sicurezza: scatta se le minacce sono solo percepite, come l’invasione dell’immigrazione; figuriamoci quando le minacce sono concrete e letali e il nemico pervasivo e immanente, ma anche subdolo e invisibile, come il coronavirus.

Così, ieri, il Parlamento ungherese ha affidato i pieni poteri a Viktor Orban, premier teoricamente ‘popolare’ – il suo partito, Fidesz, è tuttora affiliato al Ppe -, di fatto nazional-populista, il teorico della democrazia illiberale, un sovranista in tutto e per tutto salvo quando si tratta di ricevere i fondi per la coesione dell’Unione europea, che sono linfa economica per il suo Paese.

D’ora in poi, e fino a quando vorrà, Orban potrà governare per decreto, sciogliere il Parlamento, cambiare o sospendere le leggi in vigore, perfino bloccare le elezioni. Tutto “per combattere più efficacemente il coronavirus”. La norma è passata con i voti della maggioranza e di alcuni deputati d’estrema destra: 138 sì, 53 no.

L’opposizione ha cercato di inserire nel testo un limite temporale, 90 giorni, assicurando in cambio l’appoggio in aula; Orban ha rifiutato: “Chi non vota questa legge è dalla parte del virus“, ha detto, quasi che lui fosse il nemico del coronavirus per antonomasia, un virologo o un immunologo e non un laureato in legge da sempre politicante, calciatore per passione e tifoso del Milan (Berlusconi regalò alla sua squadretta un set di le maglie rossonere).

Suona male, suona l’inizio di una dittatura. E non si capisce come, una generazione dopo essersene liberati e due generazioni dopo avere visto reprimere dai carrarmati sovietici il loro anelito di libertà e democrazia, gli ungheresi ci ricaschino.

L’Unione europea si allarma, ma ha armi spuntate: il Trattato per violazione dei diritti fondamentali prevede l’espulsione, ma non dà strumenti intermedi – sospensione dal beneficio dei finanziamenti, dal diritto di voto, etc. “La Commissione europea sta valutando le misure di emergenza adottate dagli Stati membri in relazione ai diritti fondamentali, in particolare la legge votata in Ungheria sullo stato di emergenza e le nuove sanzioni penali per la diffusione di informazioni false”, avverte il commissario alla Giustizia Didier Reynders.

Ma né dalle Istituzioni comunitarie né dal Ppe, che è pure il partito di Reynders, arrivano a caldo condanne chiare ed esplicite, anche se il provvedimento, a volerlo credere limitato all’emergenza coronavirus, appare “sproporzionato” rispetto alla situazione sanitaria del Paese, dove i contagiati sono meno di 500 e i decessi una quindicina, tutte persone anziane con patologie pregresse – queste almeno le cifre ufficiali.

Orban cerca già “colpevoli” da additare se la situazione degenerasse mentre lui si erge a “difensore del popolo” contro il “virus straniero”: i presidi sanitari sono precari, negli ospedali mancano tute, guanti, mascherine protettive e ci sono solo 2.560 ventilatori in tutto il Paese.

Anche per questo, la legge sul pieni poteri prevede punizioni rigorose per chi dirmi “notizie false”: da uno a cinque anni di carcere. I giornalisti che denunciano le carenze del servizio sanitario sappiano che, nell’Ungheria di Orban, il “nemico del popolo” non è chi espone il popolo al pericolo, ma chi denuncia l’inadeguatezza del capo.

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