Non chiamateli viri probati. Ovvero uomini anziani sposati stimati dalla comunità che vengono ordinati preti per sopperire alla mancanza di clero. Questa era un’ipotesi della vigilia del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, poi abortita già nel dibattito in aula. Al termine dei lavori, infatti, la proposta votata a larga maggioranza fu ben diversa: ordinare preti i diaconi permanenti, ovvero uomini sposati che avevano già ricevuto il primo dei tre gradi del sacerdozio sacramentale. Ma alla fine lo stop è arrivato da Papa Francesco in persona.

C’è chi parla di un Pontefice conservatore, finto progressista, retrograda, pauroso, che dopo aver gettato il sasso in avanti ora si tira indietro. Nulla di tutto ciò. Bergoglio non ha mai cambiato idea. Ieri a Buenos Aires e oggi a Roma. È sempre stato il principale nemico della clericalizzazione dei laici, sia in Argentina che sulla cattedra di Pietro. E lo ha spiegato più volte raccontando di preti che ogni tanto andavano da lui, quando era cardinale arcivescovo di Buenos Aires, e gli proponevano di ordinare diacono permanente un laico devoto e molto impegnato in parrocchia. Francesco, da autentico interprete dell’ecclesiologia del Concilio Ecumenico Vaticano II, ha sempre sostenuto l’importanza dei laici cattolici impegnati nella società. E non la loro clericalizzazione.

Le pressioni di questi mesi di attesa per l’esortazione apostolica post sinodale sull’Amazzonia dimostrano quanto chi ha cercato di tirare per la talare il Papa non conosca profondamente il suo magistero. Bergoglio è un gesuita di 83 anni che è sempre rimasto fermamente coerente alla sua formazione religiosa e sacerdotale. A iniziare è stato il cardinale Camillo Ruini, vicario emerito di Roma ed ex presidente della Conferenza episcopale italiana, seguito dal confratello Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

Il porporato africano ha perfino tirato in ballo il Papa emerito Benedetto XVI facendolo apparire come il principale oppositore del magistero “aperturista” di Francesco. Nulla di più falso, anche se a pagare tutto ciò è stato monsignor Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia, almeno sulla carta, e segretario di Ratzinger.

Nel discorso di chiusura del Sinodo sull’Amazzonia, Bergoglio era stato chiarissimo chiedendo “un favore” ai media. Ovvero “che nella diffusione che faranno del documento finale si soffermino soprattutto sulle diagnosi, che è la parte più consistente, che è la parte dove davvero il Sinodo si è espresso meglio: la diagnosi culturale, la diagnosi sociale, la diagnosi pastorale e la diagnosi ecologica. Perché la società deve farsi carico di ciò. Il pericolo può essere che a volte si soffermino forse – è un pericolo, non dico che lo faranno, ma la società lo chiede – sul vedere che cosa hanno deciso in quella questione disciplinare, che cosa hanno deciso in quell’altra, quale partito ha vinto e quale ha perso. Ossia su piccole cose disciplinari che hanno la loro importanza, ma che non farebbero il bene che questo Sinodo deve fare. Che la società si faccia carico della diagnosi che noi abbiamo fatto nelle quattro dimensioni. Io chiederei ai media di fare tutto questo. C’è sempre un gruppo di cristiani di ‘élite’ ai quali piace intromettersi, come se fosse universale, in questo tipo di diagnosi. In quelle più piccole, o in quel tipo di risoluzione più disciplinare intra-ecclesiastica, non dico inter-ecclesiale, intra-ecclesiastica, e dire che ha vinto questa o quell’altra sezione. No, abbiamo vinto tutti con le diagnosi che abbiamo fatto e fino a dove siamo giunti nelle questioni pastorali e intra-ecclesiastiche. Ma non ci si chiuda in questo”.

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