“Ho cercato lavoro in Italia ma o ero troppo qualificata o avevo poca esperienza. In più, le poche posizioni per cui andavo bene erano a malapena retribuite. L’Italia mi ha formata come pochi sistemi educativi al mondo avrebbero potuto fare ma non è in grado di darmi le stesse opportunità del Belgio”. Quando otto anni fa ha lasciato Avola, il comune siracusano in cui è cresciuta, Paola Masuzzo – oggi Data Scientist a Ghent – ha annusato bene l’aria per portarsi dietro un po’ del profumo di mandorle e vino di casa sua. Aveva 26 anni, una laurea in Ingegneria elettronica all’Università di Catania e una specialistica in Ingegneria Biomedica alla Sapienza di Roma, finita con una tesi magistrale nei laboratori dell’Università dello Utah – negli Usa. Ma l’Italia non aveva niente da offrirle. “Dopo la laurea sono rientrata a Roma e ho iniziato a cercare lavoro, aperta anche alla possibilità di fare un dottorato di ricerca. Però ho quasi subito scartato l’idea, visti i fondi – scarsissimi – previsti per i dottorandi in Italia”.

Oggi ha 35 anni e vive a Ghent, dove ha conseguito un dottorato di ricerca e un postdottorato in Bioinformatica per poi diventare Data Scientist per una multinazionale e ricercatrice indipendente presso l’Institute for globally distributed open research and education (Igdore): “Non volevo ritornare negli Stati Uniti – dove avevo lavorato per la tesi magistrale – ma era chiaro che il mio Paese non fosse in grado di darmi quello che desideravo e che ero certa di meritare”.

Così ha cominciato a cercare altrove un’università disposta a finanziare il suo futuro. “Ho preso la vita e il coraggio a due mani e ho iniziato a mandare il mio curriculum a tutte le università europee che avessero programmi di ricerca in linea con i miei studi e le mie capacità. Dopo qualche colloquio su Skype, sono finita in Belgio, nella pittoresca Ghent”. Una città di cui si è innamorata a prima vista. Per una come lei, che ama viaggiare, Ghent è la città ideale perché è al centro dell’Europa e ha ottimi piani turistici. Ma ambientarsi non è stato semplice. “Certi giorni avrei voluto mollare tutto e tornare in Sicilia. Mi mancavano il sole, la mia famiglia, (il bidet!), la spontaneità degli italiani, che il popolo fiammingo non conosce e non condivide. Questo però è un po’ il prezzo da pagare per esser riuscita a seguire i miei sogni e, in parte, a realizzarli: un dottorato di ricerca retribuito dignitosamente, un’esperienza universitaria piena di opportunità di crescita professionale e personale, un lavoro, oggi, un cui posso impiegare al meglio le mie risorse intellettuali”.

Se ripensa a quando è arrivata ricorda perfettamente la sensazione una volta scesa dal treno: ”Due valigie, un po’ di stanchezza, tanta curiosità, un po’ di sana paura, ma soprattutto un senso di rivalsa che poi mi è servito e mi serve ancora per affrontare le giornate più difficili, quelle buie, piovose e fredde”. Lasciare prima la Sicilia e poi l’Italia non è stato facile, ma fare l’ingegnere ed essere donna può essere altrettanto complicato e Paola lo ha capito bene mentre faceva un esame all’Università di Catania. “Un professore giurassico, credo avesse 70 anni, senza nemmeno ascoltare la mia prima risposta mi disse ‘Signorina lei a casa deve stare, a fare la spesa e cucinare’. Per fortuna il giovane assistente intervenne e continuò l’esame al posto suo”.

Catania a parte, secondo Paola la situazione dell’ingegnere donna è uguale dappertutto e ha a che fare con la cultura della professione più che con le discriminazioni sul posto di lavoro: “Le donne nel mio campo sono poche, questo purtroppo dipende ancora dal settore ed è un po’ lo stesso in ogni Paese. Ma escludendo l’episodio in triennale, essere donna non mi è mai stato fatto né notare né pesare. Sono sempre stata per prima cosa ingegnere, poi donna: non ho mai sentito discriminazioni né all’università né in azienda”.

Ha sentito però che verso le famiglie c’è attenzione, cosa che in Italia manca: aiuti nel welfare e sostegno ai genitori che vogliono fare carriera. “Le politiche fiamminghe per il lavoro sono ottime: ho orari e modi flessibili, tempo da dedicare a famiglia, amici e interessi. Qui sono tutti efficienti, ma c’è grande attenzione alle esigenze personali”. Oltre alla carriera, a Ghent Paola ha trovato suo marito, fiammingo: “Tanta gente mi chiede se sia rimasta in Belgio per l’amore, e con grande serenità e sicurezza sono sempre pronta a dire che sì: per l’amore per me stessa”. Di sogni da realizzare, comunque, ancora qualcuno ce n’è e alla possibilità di tornare a casa non ha mai rinunciato del tutto: “Mi piacerebbe un giorno riportare in Sicilia tutto quello che ho imparato all’estero, magari lavorando per un ente no profit come l’Open data Sicilia. Resta da capire se sarò io ad andare a Palermo o l’Open data Sicilia a trasferirsi in Belgio”.

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“Negli Stati Uniti sono una ricercatrice pluripremiata, in Italia una precaria. Come se il mio lavoro fosse un hobby”

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