Molti giovani hanno lasciato l’Italia negli ultimi anni, soprattutto durante la crisi. Quali sono stati gli effetti sull’imprenditorialità? Una ricerca stima quante imprese in meno sono state costituite, in particolare tra quelle ad alta innovazione.

di Massimo Anelli, Gaetano Basso, Giovanni Peri e Giuseppe Ippedico* (Fonte: lavoce.info)

Emigrazione e imprenditorialità: come stimare il nesso?

Sempre più italiani, soprattutto giovani, lasciano il paese. Le conseguenze dell’ondata migratoria sono ormai una costante nel dibattito italiano, ma ci si è concentrati finora sulle implicazioni per la demografia (anche su lavoce.info) e lo stock di capitale umano (pari a un punto di Pil all’anno secondo stime di Confindustria citate anche dal ministro Giovanni Tria).

Tuttavia, se coloro che se ne vanno sono giovani e hanno elevata professionalità e propensione all’imprenditorialità, l’emigrazione potrebbe anche ridurre il potenziale di crescita del paese. Recenti ricerche individuano infatti una correlazione tra invecchiamento della popolazione e minor creazione di impresa. Quanto è rilevante il fenomeno nel caso italiano?

Vi sono alcuni ostacoli nello stabilire un effetto causale tra emigrazione e creazione di impresa. Il principale è la cosiddetta casualità inversa. Poiché spesso si emigra in risposta a una economia stagnante, un minor numero di nuove imprese, e quindi una minore creazione di posti di lavoro, potrebbe essere la causa, e non l’effetto, dell’emigrazione. In secondo luogo, il fenomeno migratorio non si osserva mai completamente poiché la maggior parte delle persone (fino a due terzi secondo nostre stime) non registra il cambio di residenza presso l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire), il che introduce un errore, potenzialmente di segno opposto, nelle stime.

Tuttavia, per stabilire il nesso causale tra emigrazione e imprenditorialità si può far leva sui fattori che attraggono le persone all’estero, ma che non dipendono dalle condizioni dell’economia locale (un’idea già sfruttata nella letteratura). Un importante fattore di attrazione è la presenza di un network di concittadini nel paese di destinazione, che funge da rete informativa e di supporto per cercare un impiego o opportunità imprenditoriali. Un secondo importante elemento è il tasso d’espansione dell’economia della nazione di destinazione. L’interazione tra le due variabili consente quindi di costruire una misura dell’attrazione verso l’estero, per ogni singolo comune di origine degli espatriati, che non è legata alle condizioni economiche correnti.

Si creano meno imprese innovative

Lo studio, i cui risultati principali sono stati ripresi anche nella Relazione annuale sul 2018 della Banca d’Italia, sfrutta il tasso di emigrazione predetto in base a questa metodologia in ciascuno dei sistemi locali del lavoro (Sll) italiani. La figura 1 mostra l’evoluzione del numero di imprese attive nei Sll in cui è predetta alta emigrazione (in nero) e in quelli a bassa emigrazione (in grigio tratteggiato). La dinamica nel numero di imprese nei due gruppi è simile fino al 2009-2010, quando il boom di emigrazioni è iniziato. Da quel momento in poi, le due linee divergono mostrando una perdita molto più marcata per i sistemi locali ad alta emigrazione. Il differenziale di crescita è quasi interamente dovuto a una minor nascita di nuove imprese più che a una loro maggior mortalità. In particolare, stimiamo che per ogni mille emigrati siano state create circa cento imprese in meno, tra quelle gestite da giovani under 45. Nei territori ad alta emigrazione si registra, in particolare, una minor nascita di startup innovative.

Il 60 per cento del numero inferiore di aziende è attribuibile semplicemente a un effetto di “sottrazione demografica”: poiché i giovani hanno un’alta propensione alla creazione d’impresa, meno giovani implicano meno imprese. Vi si aggiunge un’altra componente (pari a circa il 35 per cento dell’effetto totale) dovuta al fatto che chi rimane nel paese ha in media un minor tasso di imprenditorialità rispetto a chi emigra e, in parte a un effetto di ricaduta, poiché ogni impresa in meno riduce anche le possibilità per altri imprenditori di iniziare una nuova attività. Un residuale 5 per cento circa è attribuibile alla minore domanda locale di beni e servizi causata dalla riduzione della popolazione e dal minor numero di imprese.

Figura 1 – Numero di imprese attive nei sistemi locali del lavoro ad alta (in nero) e a bassa (in grigio tratteggiato) emigrazione durante il periodo 2008-2015
Fonte: Anelli, Basso, Ippedico e Peri (2019).

Quali prospettive?

I flussi emigratori possono influenzare l’economia del paese di origine in modo rilevante e, a priori, ambiguo da un punto di vista teorico. La letteratura economica più recente ha enfatizzato gli aspetti positivi su coloro che restano, tra cui un innalzamento dei salari e un riequilibrio dei mercati del lavoro se l’emigrazione avviene da paesi ad alto tasso di disoccupazione verso paesi a più bassa disoccupazione. Fare esperienze fuori dal proprio contesto di origine può generare altri benefici per il paese di origine: chi emigra può trasmettere, magari al suo rientro, nuove competenze e consentire l’avvio di relazioni commerciali e produttive. Il nostro lavoro suggerisce che la decisione di lasciare il paese, presa da un numero sempre maggiore di giovani, può avere anche conseguenze negative sull’imprenditorialità. In un paese che cresce poco, da un punto di vista economico e demografico, si rischia di innescare una potenziale spirale negativa che ne aggrava la stagnazione.

* Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità della Banca d’Italia.

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