A dodici anni dal rogo di Torino dove persero la vita sette operai, arriva la notizia che i manager tedeschi della Thyssenkrupp andranno in carcere. Il Tribunale regionale superiore di Hamm in Germania ha respinto il ricorso Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, condannati in via definitiva Italia. E ora, dopo ricorsi richieste di archiviazioni e dilazioni, sconteranno 5 anni di carcere come informa il tribunale del Nord Reno Westfalia. In precedenza il tribunale di Essen aveva dichiarato esecutive le pene italiane ma le aveva adeguate al diritto tedesco, che in questi casi prevede una detenzione massima di 5 anni. I manager, accusati di omicidio colposo e incendio doloso per negligenza, avevano fatto ricorso.

Per la vicenda sono stati condannati quattro manager italiani, che si consegnarono subito dopo il verdetto, e i due tedeschi. La Cassazione aveva emesso la sentenza il 13 maggio 2016. Nell’anniversario dell’incendio il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede aveva pubblicato un lungo post su Facebook per ricordare le vittime: “La tragedia avvenuta allo stabilimento ThyssenKrupp di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 rappresenta una ferita ancora aperta che non si rimarginerà mai: sette degli otto operai coinvolti nell’esplosione sono morti mentre stavano lavorando. Le loro famiglie non hanno mai smesso di rivendicare il loro diritto ad ottenere giustizia, pur sapendo che qualsiasi sentenza non riuscirà mai a lenire il loro infinito dolore”.

Il verdetto della Cassazione, gli italiani subito in carcere – La Suprema corte aveva condannato a 9 anni e 8 mesi l’allora amministratore delegato Espenhahn, a sei anni e dieci mesi i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz, a sette anni e sei mesi per il direttore dello stabilimento Daniele Moroni, sette anni e due mesi per l’ex direttore dello stabilimento Raffaele Salerno e sei anni e otto mesi per il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri. Le vittime del rogo sono Antonio Schiavone (il primo a morire alle 4 del mattino per le ferite riportate durante l’incidente), Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino (spirati lentamente dal 7 al 30 dicembre del 2007 per le gravissime ustioni riportate).

Quella notte di fine 2007 allo scoppio del rogo i sette operai insieme al collega Antonio Boccuzzi, l’unico sopravvissuto, avevano tentato di spegnere le fiamme, ma ogni loro sforzo era stato inutile: nonostante i frequenti incendi sulla linea 5, gli estintori erano quasi vuoti, le manichette di acqua inutili, l’impianto non era adeguato perché il management sapeva che lo stabilimento sarebbe stato chiuso.

Dall’indagine dei pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso emerse che quella di limitare le spese nella prevenzione era stata una scelta aziendale, definita dai giudici della Corte d’Assise come “sciagurata”, ma consapevole, motivo per cui avevano condannato gli imputati a pene tra i dieci anni e i sedici per omicidio volontario con dolo eventuale. Per i colleghi della Corte d’assise d’appello, invece, non ci fu “dolo”, ma soltanto imprudenza, un impianto che ha retto. Un’imprudenza pagata a carissimo prezzo.

La lunga vicenda giudiziaria – Per due volte il processo Thyssen era arrivato in Cassazione, che in precedenza aveva ordinato alla Corte d’Appello di Torino di ricalcolare il trattamento sanzionatorio. Nel processo d’appello bis le pene erano state lievemente ridotte. La vicenda giudiziaria era partita il 15 gennaio 2009, quando si è aperto a Torino il primo grado di giudizio, che si sarebbe prolungato fino al 15 aprile 2011, giorno della prima sentenza, arrivata dopo 100 udienze celebrate e la condanna severa inflitta a sei imputati. Tra loro l’amministratore delegato dell’azienda siderurgica, Harald Espenhahan, condannato in primo grado a 16 anni e mezzo di reclusione per omicidio volontario. Per i manager Thyssen le pene erano state in primo grado di 13 anni e mezzo per omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) e omissione di cautele antinfortunistiche. Le parti civili avevano avuto 13 milioni di euro su un totale di 17 milioni di risarcimento. L’1 luglio 2008 la Thyssen, che nel frattempo nel marzo 2008 aveva chiuso i battenti dello stabilimento torinese, ha versato la cifra alle famiglie dei 7 operai morti nel rogo per non costituirsi parte civile.

Secondo i giudici di primo grado, fu una “scelta sciagurata” dell’ad “di azzerare – si leggeva nella motivazione – ogni scelta di prevenzione”. Le pene erano state lievemente ridotte durante il secondo grado di giudizio, celebrato tra il 28 novembre 2012 e il 28 febbraio 2013, presso la corte d’assise d’appello di Torino, presieduta da Giangiacomo Sandrelli, con la clamorosa esclusione per l’ad Espenhahan, del dolo. All’appello è seguito il ricorso in Cassazione presentato da Raffaele Guariniello, affiancato dai pm Laura Longo e Francesca Traverso, nonché il pg Ennio Tomaselli, contro la sentenza d’appello, lo stesso fanno le difese degli imputati con altre motivazioni. In seguito i giudici supremi avevano chiesto il ricalcolo delle pena.

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