La Corte europea dei diritti umani ha avviato un procedimento contro Italia e Germania sul caso del rogo dello stabilimento della ThyssenKrupp a Torino scoppiato il 6 dicembre 2007: un incidente immane in cui morirono 7 operai. Sono stati i parenti delle vittime e uno dei sopravvissuti, Antonio Boccuzzi, a rivolgersi alla Corte di Strasburgo, accusando i due governi di aver violato i loro diritti, in particolare quello al rispetto della vita, perché nonostante la sentenza di condanna della Corte di Cassazione pronunciata nel 2016 nei confronti due manager tedeschi, questi restano in libertà. L’ad Harald Espenhahn e il consigliere Gerald Priegnitz hanno avuto pene definitive rispettivamente a 9 anni e 8 mesi e a 6 anni e 10 mesi, ma non hanno mai scontato un giorno di carcere per il disastro del 2007 nell’acciaieria: mentre i quattro dirigenti italiani condannati si consegnarono alle autorità per scontare la pena, i due tedeschi fuggirono in Germania, rifiutando l’esito del processo e chiedendo di scontare gli anni in patria, cosa che però non è mai avvenuta finora. I firmatari del ricorso – che la Corte aveva ricevuto un anno e mezzo fa – sono in tutto 26 e sottolineano che la violazione del loro diritto alla vita deriverebbe “dalle omissioni e i ritardi delle autorità italiane e tedesche nel dare esecuzione alla sentenza di condanna dei due manager”. Aggiungono di non aver altro modo, se non attraverso la Corte di Strasburgo, per far valere i loro diritti nei confronti di Roma e Berlino. “I governi italiano e tedesco – scrive ora la Corte ai due governi – sono pregati di fornire tutte le informazioni pertinenti sullo stato della procedura di esecuzione della condanna”.

I tre anni di “Vietnam” burocratico e procedurale
In realtà Espenhahn e Priegnitz e i loro avvocati hanno fatto di tutto per non far eseguire la pena decisa dai tribunali italiani in modo definitivo – dopo tre gradi di giudizio – né la giustizia tedesca ha deciso quale strada prendere: se eseguire la sentenza della Suprema Corte italiana o celebrare di nuovo il processo in forza del fatto che la pena massima per il reato contestato ai due ex massimi dirigenti della ThyssenKrupp – l’omicidio colposo plurimo – nel codice penale tedesco ha un tetto di 5 anni di carcere. In un primo caso fu sollevata la questione della mancata traduzione di alcuni atti e della stessa sentenza della Cassazione. Pochi mesi dopo la Suprema Corte respinse anche un ricorso straordinario. L’ultima di numerose puntate procedurali e burocratiche grazie alle quali non c’è stata ancora alcuna decisione sui due responsabili della tragedia di Torino risale al febbraio scorso quando i due condannati avevano chiesto al tribunale di Essen di archiviare per “irregolarità nel processo”.

I messaggi (inascoltati) dei ministri italiani
Una vicenda che da giudiziaria arriva ad avere profili politici e diplomatici. Due ministri della Giustizia italiani in momenti diversi hanno scritto al governo di Berlino e ai tribunali tedeschi nel corso di questi tre anni. Il guardasigilli Andrea Orlando nel 2017 aveva chiesto al ministro tedesco Heiko Maas che la Germania desse esecuzione al verdetto. Il successore Alfonso Bonafede nel 2018 aveva fatto inviare dal ministero di via Arenula una lettera al tribunale di Essen per chiedere l’esito del procedimento con cui si era chiesto il riconoscimento ed esecuzione della sentenza”. Bonafede, nel febbraio scorso, aveva detto tra l’altro che il ministero avrebbe “continuato a monitorare giorno per giorno la vicenda”. Ma da allora nulla è cambiato. La difficoltà è la stessa che nel corso degli ultimi dieci anni è stata riscontrata per gli ex ufficiali delle SS e della Wehrmacht condannati all’ergastolo per diverse stragi di civili in Italia durante la ritirata tedesca dai territori occupati in Italia (tra queste Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto): le sentenze non sono mai state eseguite dalla Germania e in quel caso l’Italia non ne ha mai chiesto conto a Berlino.

“Se siamo arrivati qui, è per la debolezza dell’Italia con la Germania”
“Siamo arrivati a questo punto è per la debolezza del nostro Governo nei confronti della Germania” dice Antonio Boccuzzi, sopravvissuto nel 2007 al rogo negli impianti ThyssenKrupp. “I nostri appelli al Governo italiano – aggiunge – hanno sempre ottenuto promesse di attenzione che non si sono mai concretizzate. E’ opportuno, quindi, che si attivi un organo superiore”. “Il nostro non è desiderio di vendetta, ma di giustizia” sottolinea Graziella Rodinò, mamma di Rosario.
“Siamo sempre stati decisi ad andare avanti nella nostra battaglia – aggiunge – Se i due manager tedeschi sono ancora liberi, qualcosa non ha funzionato. C’è una sentenza definitiva, che non è stata rispettata. Voglio che vadano in galera, che vedano la cella almeno per un giorno. Per noi il tempo si è fermato, non è vero che il tempo lenisce il dolore”.

La Cassazione disse: “Vertici Thyssen consapevoli di pericolo di morte per operai”
Nelle motivazioni della sentenza del 2016 la Cassazione aveva rilevato a sostegno della decisione che quella dell’ex amministratore delegato e degli altri dirigenti fu una “colpa imponente” tanto “per la consapevolezza che gli imputati avevano maturato del tragico evento prima che poi ebbe a realizzarsi, sia per la pluralità e per la reiterazione delle condotte antidoverose riferite a ciascuno di essi che, sinergicamente, avevano confluito nel determinare all’interno” dello stabilimento di Torino “una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori“. I giudici avevano aggiunto che quella commessa è stata una “colpa imponente” anche per “la imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spegnimento a breve gittata, ritenuti inadeguati e a evitare di rivolgersi a presidi esterni di pubblico intervento”.

Espenhahn, in particolare, era stato descritto come “il massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che hanno causato gli eventi di incendio e morte” mettendo inoltre in evidenza il fatto che “intorno a lui si muovono gli altri imputati che all’interno della complessa organizzazione aziendale si cooperano, interagiscono con la figura di vertice, aderiscono alle scelte strategiche, le supportano con le loro competenze tecniche e nell’esercizio dei poteri gestionali”.

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