Il referendum sul taglio dei parlamentari si terrà il 29 marzo: è questa la data indicata dal Consiglio dei ministri per fissare la consultazione popolare sulla riforma costituzionale. La notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa, secondo cui la decisione del governo è stata già ufficializzata. La convocazione ‘definitiva’ delle urne spetta ora al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che deve emanare un decreto ad hoc dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri. Per scegliere la data del voto, quest’ultimo aveva a disposizione sessanta giorni a partire dal 23 gennaio, data in cui è stata depositata l’ordinanza della Cassazione che ha dato il via libera all’iniziativa sottoscritta da un fronte vario di 71 senatori contrari alla riduzione di 345 ‘poltrone’ parlamentari, compreso un ‘grillino’. Palazzo Chigi, quindi, ha evaso la pratica in tempi record: appena quattro giorni. Non solo: per il giorno in cui tenere il referendum, il governo poteva scegliere una data compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo allo svolgimento del Consiglio dei ministri, quindi tra gli ultimi giorni di marzo e la prima domenica di giugno. Anche in questo caso, il consiglio dei ministri ha deciso di scegliere la prima data utile, quindi alla fine di marzo.

Il primo rappresentante politico a parlare è stato il capo politico ‘reggente’ del Movimento 5 Stelle Vito Crimi: “Oggi cominciamo a parlare delle cose da fare subito. Il primo appuntamento che abbiamo è il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari: la prima cosa di cui dobbiamo parlare è questa”. Il voto referendario di marzo è la diretta conseguenza di quanto accaduto lo scorso 18 dicembre, quando tre senatori (Nannicini del Pd, Cangini e Pagano di Forza Italia) hanno presentato le 64 firme necessarie (poi divenute 71) per chiedere il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, riforma targata 5 Stelle e già approvata a ottobre 2019 dalla Camera all’unanimità. Sessanta giorni dopo, però, la politica ha provato a ribaltare il tavolo, per cercare di evitare la sforbiciata a Montecitorio e Palazzo Madama. Considerando che non si tratta di un voto abrogativo, il referendum del 29 marzo non avrà quorum.

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