Il governo di centrosinistra formato da socialisti e Podemos ha ricevuto la fiducia del Congresso spagnolo. A favore del premier Pedro Sànchez Castejòn hanno votato 167 deputati. I contrari sono stati 165. Come previsto, l’esecutivo pur non avendo i 176 voti necessari per la maggioranza assoluta nel Parlamento di 350 seggi riuscirà a partire grazie all’accordo per l’astensione degli indipendentisti catalani di sinistra del partito Erc e di quelli dei Paesi Baschi. Gli astenuti sono stati in effetti 18. La decisione conclude una crisi politica che in Spagna è andata avanti per mesi con due tornate elettorali anticipate. L’ultima è stata il 10 novembre, 4 mesi e mezzo dopo le Politiche che però non avevano prodotto una maggioranza parlamentare, tanto che l’attuale governo era in ordinaria amministrazione da dieci mesi. Una situazione di paralisi istituzionale – all’italiana, si è detto in diversi casi in questo periodo – anche per via dell’acuirsi della crisi nei rapporti tra Madrid e la Catalogna e l’ascesa di Vox, il movimento di destra nazionalista.

Quello che nascerà sarà il primo esecutivo di coalizione nella storia democratica della Spagna: finora i governi erano stati formati solo da esponenti di un solo partito. Domenica, nella prima votazione, i partiti che sostengono il governo Sànchez avevano mancato la soglia fissata dalla Costituzione per la maggioranza assoluta. Oggi invece era sufficiente la maggioranza relativa. A favore hanno votato i socialisti del Psoe (120), Unidas Podemos (35), i nazionalisti baschi (6), i 3 di Màs Paìs (il partito di Íñigo Errejòn, ex compagno di Pablo Iglesias, nato proprio da una scissione da Podemos) e i deputati dei partiti regionali di Canarie e Galizia e del movimento cittadino di Teruel, piccola città dell’Aragona. Tra i contrari tutte le destre nelle varie forme: dai Popolari a Vox, dai liberaldemocratici di Ciudadanos agli indipendentisti di destra di Junts per Catalnuya. Alla seduta, come sottolinea El Paìs, a differenza di domenica, ha partecipato anche la deputata di En Comù-Podem per Barcellona Aina Vidal che – ammalata di cancro e visibilmente emozionata – è stata applaudita a lungo dal Congresso.

Come detto sono state decisive le astensioni dei 13 deputati catalani di Esquerra Republicana de Catalunya e dei 5 baschi di Eh Bildu. Nell’accordo tra Sànchez e indipendentisti è previsto che ci sarà una trattativa bilaterale con la Generalitat. “Non si romperà la Spagna” ha promesso il premier nel discorso di insediamento di sabato.

I toni in Aula tuttavia sono stati tutt’altro che morbidi. A prendere la parola per la Erc è stata Montserrat Bassa, sorella di un’ex consigliera regionale della Catalogna condannata a 12 anni per sedizione e malversazione insieme agli altri politici catalani: “Personalmente non mi importa un fico secco della governabilità della Spagna”. Tra le altre cose ha definito i deputati socialisti “carnefici” e “complici” della violenza della polizia contro i cittadini parteciparono al referendum indetto dalla Catalogna il primo ottobre del 2017.

Dopo la fiducia il premier Pedro Sanchez ha dichiarato in un tweet che “con il governo di coalizione progressista in Spagna si apre una stagione di dialogo e politica utile“. Per il primo ministro sarà “un governo per tutte e tutti che estenda i diritti, ripristini la convivenza e difenda la giustizia sociale. Oggi nasce un tempo di moderazione, progresso e speranza”.

I maggiori esponenti dei partiti europei di centrosinistra si sono complimentati con il nuovo esecutivo. Fra di loro anche il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, che su Twitter si è congratulato con Pedro Sanchez, affermando che “come presidente del governo spagnolo promuoverà la crescita sostenibile, i diritti sociali e la coesione europea”.

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