“Armi canto e l’uomo che primo dai lidi di Troia, venne in Italia fuggiasco per fato e alle spiagge lavinie, e molto in terra e sul mare fu preda di forze divine, per l’ira ostinata della crudele Giunone, molto sofferse anche in guerra, finch’ebbe fondato la sua città, portato nel lazio i suoi dèi, donde il sangue Latino e i padri Albani e le mura dell’alta Roma…”. Ho recitato ad alta voce. Con tono solenne. Entrando in una prima media, nella quale insegno Italiano. La prima parte del proemio dell’Eneide merita ogni attenzione. E molto rispetto.

L’Epica classica fornisce un’occasione unica. Leggere opere che parlano di personaggi lontani nel tempo, ma anche di noi, che di quegli eroi siano più o meno direttamente discendenti. Dopo l’Iliade e l’Odissea, bisogna trovare spazio anche all’Eneide. Molto spazio. Per questo ho deciso di dedicargli più tempo del consueto. Preferendo leggere tutta l’opera e non solo i brani proposti dal libro di testo.

Lettura da farsi a scuola, in classe, la mattina. Così prima di iniziare mi sono confrontato con alcuni colleghi. “Lascia perdere. Rischi di rimanere indietro nei programmi di grammatica e di antologia”, mi ha detto uno. “Ma chi te lo fa fare? Segui le indicazioni ministeriali”, ha aggiunto un altro. Ho ascoltato, ma poi ho deciso di fare come avevo pensato. Rinunciando a qualche progetto. Un paio di quelli che da qualche anno non possono mancare nel Piano dell’offerta formativa. Di qualunque Scuola media si tratti. Così sono entrato in classe avendo negli occhi il proemio che intanto mandavo a memoria. Subito dopo ho parlato ai ragazzi di Virgilio, il poeta latino con il quale l’epica classica diventa la celebrazione dell’identità di un popolo e stringe un legame forte con la Storia. Abbiamo immaginato di esserci anche noi accanto al’imperatore Augusto e alla sorella Ottavia, mentre il poeta legge l’Eneide, come nel quadro del 1787 di Jean-Joseph Tailasson, alla National Gallery di Londra. Già perché quel poema nasce proprio da due protagonisti di quello straordinario momento storico compreso tra il I secolo a. C. e il I secolo d. C. in cui Roma afferma la sua supremazia nel mondo allora conosciuto ed inizia a diffondere il suo modello di civiltà. Augusto propone e Virgilio compone il poema che celebra la grandezza di Roma.

Dodici libri, nei quali si ha possibilità di ripassare temi già incontrati nella lettura dell’Odissea e dell’Iliade. I viaggi e le avventure di guerra dell’eroe troiano Enea, figlio di Anchise e della dea Venere. Da Troia, alle coste della Tracia e poi all’isola di Delo. Da qui all’isola di Creta e quindi alle isole Strofadi e poi in Epiro e a Cartagine. Ancora, la Sicilia, Cuma, Gaeta e, finalmente, il Lazio. Enea, attraversa mari e raggiunge luoghi alla ricerca di una nuova patria. Che raggiungerà, ma solo dopo aver perduto molto di sé. Aver lasciato andare persone care e aver rinunciato a certezze che credeva di avere.

Con i ragazzi ci siamo confrontati con la difficoltà della traduzione. Anzi di chi si è impegnato nella traduzione dal latino all’italiano del testo poetico. Alla ricerca del modo migliore per provare a passare da una lingua all’altra. Senza mortificare lessico, sintassi, ritmo e stile dell’originale. Così abbiamo letto due traduzioni, proprio del proemio. Quella di Luca Canali e l’altra di Alessandro Fo. Diametralmente opposte, perché diverse nella scelta iniziale. Nel primo caso, quella di utilizzare una sintassi della frase semplice rispetto all’originale. Nel secondo, invece, quella di seguire l’ordine delle parole dell’originale. Leggendo e, contemporaneamente, confrontando, siamo stati costretti a fare anche grammatica. Altrimenti non avremmo capito, davvero.

Siamo andati avanti. Portandoci dietro pagine traboccanti degli esametri del testo. Avendo nello sguardo, riflesse, le immagini di eroi indimenticabili. Come il Laocoonte che cerca di dissuadere i Troiani dall’introdurre in Città “simile a monte un cavallo… dono fatale di Pallade vergine”. Come Enea che si allontana da Troia in fiamme “recando Anchise sulle spalle, il piccolo Iulo stretto al fianco”. Un momento celebrato anche da Gian Lorenzo Bernini nel gruppo marmoreo scolpito nel 1618, conservato alla Galleria Borghese, a Roma. Abbiamo incontrato Didone, che architetta e compie la sua morte. Per amore. Una tragedia che abbiamo osservato con gli occhi de il Guercino, ne La morte di Didone, la tela del 1631, conservata alla Galleria Borghese. Poi ci siamo commossi con la morte di Eurialo e Niso, amici per sempre.

Non abbiamo saltato nulla. Ad ogni esametro tutto il tempo possibile. Fino al duello finale, tra Enea e Turno e l’uccisione del re dei Rutuli. “Egli affonda furioso il ferro in pieno petto, a quello le membra si sciolgono nel gelo, e la vita con gemito fugge sdegnosa tra le ombre”, scrive Virgilio, nella traduzione di Luca Canali. L’Eneide si chiude così. Con la parola “ombre”. Sottolineando il dolore del vinto, non la vittoria dell’eroe protagonista. Anche per questo ho scelto di leggere per intero l’Eneide. Per accompagnare i ragazzi a questo esito. Tutt’altro che scontato. Condurli attraverso il protagonista e i tanti personaggi che gli sono accanto a capire l’importanza del rispetto. Nei confronti degli altri. Anche se le circostanze costringono a posizioni contrapposte. E’ questo che più conta, alla fine. Più della lezione del giorno. Più di una parafrasi e un nome da ricordare. Più di una data e una figura retorica.

“Professore, oggi c’è in Italia un eroe come Enea?”, mi ha chiesto un alunno, alla fine di una lezione. In quella domanda, la risposta che speravo. Che davvero l’Enea di Virgilio li abbia aiutati a crescere almeno un po’, quei ragazzi?

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