Liscio e un po’ velleitario; così mi è parso il discorso della presidente della Commissione Von Der Leyen che ha ricevuto ieri, insieme alla sua squadra, il voto di fiducia del PE.

I punti chiave del suo discorso, clima e digitalizzazione, sono largamente ovvi e condivisibili da tutti nella forma vaga in cui sono stati espressi; la lista dei commissari e le poche parole di circostanza su ognuno di loro, rivelano una squadra che tranne poche eccezioni tra i quali auspicabilmente possiamo includere Paolo Gentiloni, non ha personaggi di grande prestigio o indiscussa competenza; anzi ne presenta alcuni di francamente preoccupanti, come il Commissario ungherese Varheli, diplomatico sostenitore di Orban che dovrà occuparsi dell’applicazione ai paesi candidati dei criteri di adesione, tra i quali quello dello stato di diritto, punto sul quale il PE ha chiesto di aprire una procedura proprio contro l’Ungheria.

O la Commissaria croata Suica che durante l’audizione al PE ha rivelato in pieno i limiti della sua sensibilità e voglia di iniziativa in materia di democrazia e partecipazione dei cittadini, mentre è proprio di questo che dovrà occuparsi. E che dire poi di Thierry Breton, anziano ex ministro di Chirac, amministratore delegato di Atos e che dovrà occuparsi di digitale.

Sulla scelta dei commissari, però, PPE, PSE e liberali condividono una grande responsabilità. Non si capisce perché fare cadere Sylvie Goulard, competenza provata sul campo, grande conoscitrice delle istituzioni Ue, per accettare senza problemi un esponente della destra più tradizionale e molto molto più discutibile in materia di conflitti di interesse e sensibilità alla trasformazione verde dell’industria. O perché accettare tranquillamente appunto la Commissaria croata o altri candidati francamente molto poco convincenti. Non si capisce se non con la volontà di fare un dispetto Macron che per tutta risposta ha inviato un commissario molto meno autonomo dalle logiche nazionali e più legato alla vecchia industria. Un vero capolavoro.

Un discorso un po’ velleitario, dicevamo. Perché se le parole e i toni indicano una consapevolezza non solo dei problemi ma anche del ruolo positivo che una Ue in grado di agire e di decidere può giocare in un mondo tanto incerto e rischioso, la direzione che questa azione comune dovrà prendere, le scelte controverse e difficili che bisognerà fare, gli interessi che bisognerà toccare, a partire da quelli potenti e danarosi delle lobby fossili, non sono neppure sfiorati. Ritorna fortissima l’impressione che questa Presidente mi aveva dato nelle sue prime esternazioni. Quella della Von Der Leyen non si presenta come la Commissione del cambiamento. Pare invece rappresentare il tentativo di garantire il sistema attuale, magari con qualche ritocco qua e là, un po’ più di digitale, un po’ più di verde, forse un po’ più di soldi a politiche positive, un po’ più di parità di genere: ma mantenendone l’essenziale nei metodi di decisione, nelle priorità, e anche nel modo di rapportarsi con il Consiglio, senza strappi e con una deferente considerazione. Perché questa – è bene non dimenticarlo – è comunque la candidata dei governi, saltata fuori dopo un duro scontro con le forze maggioritarie del Parlamento.

Nonostante l’entusiasmo di alcuni, non ci si deve dunque fermare alle impressioni, alla spennellata di verde di un discorso rimasto appunto generico. Né deve stupire il voto di astensione dei Verdi, che nonostante abbiano spesso cercato di aprire un dialogo per un accordo programmatico concreto su punti chiave: agricoltura, commercio, energia, immigrazione, alla fine non hanno trovato una reale volontà politica di concludere né nella signora Von Der Leyen né tantomeno nei gruppi maggioritari. Di solito, considero la scelta dell’astensione discutibile in momenti così cruciali: bisogna scegliere, di qua o di là. In questo caso, invece, sono molto d’accordo con questa posizione che lungi dall’essere una manifestazione di indecisione o di mancanza di scelta, dice appunto che questa non è una Commissione verde, ma che però, data la situazione della Ue e la consapevolezza diversa rispetto al passato sulla sfida del clima, i Verdi sono pronti a giocare la loro partita. I loro voti saranno necessari per molte delle legislazioni in materia del clima, dell’energia, della nuova industria e intendono farlo pesare e non certo ritirandosi in una sterile opposizione.

La Commissione dovrà scegliere se stare con il vecchio e appoggiarsi alla destra sovranista e negazionista per avere la maggioranza o cercare l’accordo con i Verdi e la parte più progressista dell’aula. Dovrà capire che conflitti e battaglie aprire con i governi su temi controversi come la necessaria revisione al rialzo di tutta la legislazione sull’energia, dall’efficienza alle rinnovabili, indispensabile se si vuole essere coerenti con l’impegno di Parigi; dovrà vedere come è se rilanciare la riforma di Dublino. Decidere se rivedere la sua attuale posizione sulla Pac e sul commercio. Capire da che parte stare nella dura battaglia sull’ammontare e sulla qualità (verde) del bilancio che dovrebbe concludersi nel 2020. E dovrà anche vedere se i pochi falchi dell’austerity che ancora resistono potranno essere messi all’angolo per cambiare i criteri per la definizione di deficit e investimenti e affrontare in modo radicalmente diverso rispetto al passato la possibile frenata dell’economia mondiale.

Vedremo. Ci attendono tempi interessanti. Anche perché le piazze e le strade d’Europa vogliono avere un ruolo attivo e positivo che non può più essere ignorato, né dai governi né dalla Ue.

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