Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta del senatore M5s Primo Di Nicola, vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai e membro della commissione Finanze del Senato. La sua riflessione parte dall’esito delle elezioni in Umbria per arrivare alle paure che sono alla radice di una crisi di valori prima che di consensi.

E’ inutile girarci intorno. La sconfitta del campo progressista, delle forze dell’attuale maggioranza, non è solo elettorale: è politica, nel senso pieno del termine – di politiche e programmi che non riscontrano più il favore dei cittadini – ma è anche e soprattutto valoriale.

Perché questa è la verità: la destra salviniana e meloniana, con la sua inedita miscela di individualismo, xenofobia, razzismo, nazionalismo, sovranismo, sta vincendo alle urne, ma soprattutto sta conquistando una vera EGEMONIA. Una egemonia valoriale, appunto. E non solo nelle istituzioni rappresentative, ma nella società e in tutte le sue articolazioni.

Il problema non è più riconquistare i consensi perduti, provare a collezionare più seggi in Parlamento, nelle Regioni e nei Comuni. Cosa che si deve pure fare per dare agli elettori leggi e amministrazioni migliori. Il problema è ribaltare il declino che sta cogliendo l’intera società nel più profondo del suo sentirsi, che è coscienza morale, civile, modo di essere cittadini. Il problema è dare soluzione a questa crisi valoriale, che non sarà questione di uno o due anni, ma molto, molto più lunga e impegnativa.

Possiamo darci questo compito così come oggi sono le forze schierate nel capo progressista? La risposta è NO, lo dimostra il fatto che la crisi di consensi elettorali si sta trasformando progressivamente in crisi interne dei partiti di questa maggioranza, crisi che potrebbe presto trasmettersi agli equilibri di governo.

Nel Partito democratico si sta aprendo un dibattito sulla necessità di un cambio di nome, di una rifondazione. Riportando l’orologio indietro di venti anni, ai tempi del superamento del Partito comunista e della Democrazia cristiana, quando si invocava la nascita di una nuova, moderna forza politica capace di cogliere il cambiamento, la famosa Cosa. Il rischio è che si avvii verso una operazione di semplice maquillage cambiando nome e logo e lasciando insolute il resto delle questioni aperte.

Nel M5s si afferma la necessità di una riorganizzazione e di una rielaborazione programmatica che dovrebbe anche avere importanti risvolti organizzativi. Una aspirazione ormai dichiarata che è aperta, piena e franca ammissione di una difficoltà, una inadeguatezza di cui si stenta a definire i contorni.

Vedremo cosa succederà nel Pd e a cosa porterà il suo travaglio. Per quanto riguarda il M5s è indispensabile che il dibattito interno sia all’altezza della sua storia. Ha rivoluzionato la politica in Italia, con le grandi battaglie per la legalità, la lotta ai privilegi, l’impegno per l’ambiente e i beni comuni. Ma sta esaurendo la sua spinta propulsiva dopo avere meritoriamente grillizzato l’intero sistema.

Missione compiuta, dunque? Sì, per la gran parte. Che è importante, storica, direi. Ma adesso, che fare? Possiamo darci una missione nuova, come ci si chiede. Ma di che tipo?

Una strada da percorrere potrebbe essere quella di salvaguardare e tutelare gli interessi di movimento, di parte, di partito. Per inseguire i consensi perduti, che nella prossima – sempre più vicina? – legislatura rischiano di tradursi in una sparuta rappresentanza parlamentare destinata a recitare al massimo il ruolo di battagliera minoranza. Ma vale la pena impegnarsi per una simile prospettiva? Vale la pena spendere le energie di militanti ed elettori per assicurarsi qualche seggio alla Camera o al Senato mentre fuori la casa brucia? Per fare che, blindare una ristretta, ininfluente nomenklatura?

Non è necessario. Non è necessario sopravvivere e vivacchiare, impiccati pure alla necessità di rivedere regole interne, statutarie, che la forza prorompente del movimento da tempo ha decretato come superate e anacronistiche. Con questo sopravvivere forzato si rischia di macchiare una storia nobile destinata a restare negli annali.

La necessità di darci una nuova missione può imporre invece un compito più alto. Dopo avere cambiato profondamente la politica nel nostro Paese, possiamo, dobbiamo affrontare a viso aperto le ragioni di una crisi che ci investe e che ha radici in questioni, nodi che da soli non possiamo sciogliere, che è l’emergenza epocale causata dalle paure della nostra società preda della globalizzazione incontrollata, delle diseguaglianze sociali, della distribuzione iniqua della ricchezza, dell’emergenza climatica, dell’innovazione a senso unico, di un modo di produrre che fa a pugni con i principi minimi di umanità.

Rispetto a tutto questo manca un PENSIERO. Ed è una carenza che richiede una colossale mobilitazione, non solo politica, ma anche scientifica, sociologica, filosofica, direi.

Siamo in grado da soli di fare tutto questo? E possono altri, da soli, farlo per proprio conto? Non credo, il compito è così grande da esigere nuove sfide, nuove sfide che abbiamo il dovere di affrontare anche a costo di biodegradarci definitivamente, scioglierci in qualcosa di più grande. Una prospettiva ancora oggi oscura e indefinita, ma certamente più ambiziosa, nobile e duratura.

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