“Il Memorandum con la Libia? Si può migliorare, ma sarebbe un vulnus politico bloccarlo“. Così il ministro degli Esteri Luigi Di Maio aveva difeso il patto tra Roma e Tripoli, che sarà rinnovato il prossimo 2 novembre in modo automatico, al di là delle richieste di sinistra e associazioni per stralciare l’accordo, di fronte a un Paese in piena guerra civile e considerato dall’Ue un porto non sicuro. Dal ministro degli Esteri nessun passo indietro, nonostante la notizia che Abdul Rahman Milad, più noto come Bija, dall’Onu considerato un trafficante di essere umani e già noto per la sua presenza al vertice con i funzionari del Viminale in Italia, sia stato confermato alla guida della Guardia costiera libica di Zawiya.

Di Maio ha mostrato la sua realpolitik: “Complicità dell’Italia con le violazioni di diritti umani in Libia con il rinnovo del Memorandum? Questo memorandum con la Libia, firmato dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dall’allora ministro degli Interni Marco Minniti, può essere migliorato soprattutto nella parte che riguarda i centri e che riguarda le condizioni dei migranti. Ma ovviamente lo facciamo nell’ambito delle norme previste dallo stesso memorandum, che ci permettono di riunire la commissione Italia-Libia”, ha avvertito. Tradotto, l’impianto generale non cambierà. E ancora: “Nessuno può smentire che grazie a quel memorandum siamo passati da 170 mila sbarchi a 2.200 sbarchi in Italia nel giro di due anni”, ha tagliato corto il capo politico M5s, non volendo rispondere ad altre domande. A partire dal fatto che quegli sbarchi siano calati soltanto perché la presunta Guardia costiera libica, in realtà le stesse milizie che pattugliano la costa libica, blocca i migranti riportandoli indietro nei campi di detenzione libici. Gli stessi per i quali sia l’Onu che diverse ong hanno più volte denunciato torture nei confronti dei migranti e condizioni disumane

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