Scioperano contro la riforma della prescrizione. E fanno saltare un processo che rischia proprio di prescriversi. L’astensione dei penalisti fa infuriare i familiari delle vittime della tragedia di Rigopiano. “Il dolore non va in prescrizione né si rinvia“, è uno degli striscioni esposti davanti al palazzo di giustizia di Pescara dai parenti delle 29 persone uccise dalla valanga, che nel gennaio del 2017 travolse l’hotel abruzzese. Da parte loro i penalisti fanno notare come difficilmente il processo si prescriverà solo a causa della loro protesta contro la riforma del guardasigilli Alfonso Bonafede. Ed è vero: il rischio è concreto soprattutto perché al tribunale abruzzese il giudice sta procedendo al ritmo di un’udienza preliminare al mese. È per questo motivo che Rigopiano è una sorta di cartina di tornasole dei problemi della giustizia penale. Da una parte c’è una storia con 29 morti che rischia di prescriversi, dall’altra c’è un processo che va troppo a rilento. Esattamente i due oggetti sul tavolo della maggioranza, che in questi giorni discute – al momento più a favore di microfono che nei vertici dedicati – proprio di prescrizione. La nuova legge entrerà in vigore nel 2020 e bloccherà la prescrizione dopo il primo grado di giudizio: casi come quello di Rigopiano, ma anche come la tragedia del Norman Atlantic o la strage di Viareggio non rischierebbero più di finire con buona parte di contestazioni prescritte. E infatti Bonafede voleva chiamare la riforma “legge Viareggio“, come la tragedia che in appello ha visto cancellato dal tempo il reato di incendio colposo, con relative pene riviste al ribasso per gli imputati.

Il dibattito su prescrizione e tempi dei processi
Le altre forze di maggioranza – soprattutto i renziani ma anche pezzi del Pd – continuano a frenare: prima vogliono varare una nuova riforma del penale che velocizzi i tempi dei processi. La stessa opposizione sollevata dagli avvocati: se si blocca la prescrizione dopo il primo grado, è il ragionamento dei penalisti, gli imputati rischiano di rimanere sotto processo per anni visto il tempo medio di durata dei procedimenti. Bonafede, però, avrebbe già preparato una riforma del processo penale: a sentire via Arenula i procedimenti più comuni (quindi non quelli per reati gravi come mafia o strage) si concluderebbero in quattro anni nei primi due di applicazione della nuova legge. Il guardasigilli punta dunque ad approvare la sua riforma entro l’entrata in vigore della riforma della prescrizione, ma le altre forze della maggioranza sul tema sembrano essere molto poco convinti. A frenare sono soprattutto i renziani e il Pd, che chiedono il rinvio dell’entrata in vigore della riforma della prescrizione. Che, però, entrando in vigore nel 2020 si applicherebbe solo ai reati commessi dall’1 gennaio prossimo: e quindi gli effetti della nuova legge non si vedrebbero prima del 2024, a voler essere ottimisti. Nel frattempo corrono verso la prescrizione tutti quei processi complessi, in cui si contestano spesso reati contravvenzionali compiuti prima dell’entrata in vigore della riforma. Rigopiano, per esempio, ma anche Norman Atlantic, il traghetto andato a fuoco nel dicembre del 2014 e per il quale il procedimento è ancora in fase preliminare, o l’inchiesta sulla costruzione della Torre Piloti, che uccise 9 persone crollando il 7 marzo 2013. Sono tutti casi che non arriverebbero mai a prescriversi con la nuova legge. Che però la politica vuole rinviare.

Rigopiano, il Comitato delle vittime: “Il dolore non va in prescrizione”
Non è solo l’eccessivo lavoro dei giudici a pesare sullL’ultimo rinvio era stato deciso dopo l’aggressione della madre di una delle vittime a uno degli imputati. Per dire del clima nel quale si sta celebrando il procedimento. Il nuovo stop all’udienza preliminare per il disastro dell’hotel Rigopiano è invece stato dettato dall’astensione dei penalisti in sciopero per la riforma della prescrizione. Così la terza seduta che avrebbe dovuto celebrarsi il 27 settembre slitta al 29 novembre. Altre quattro sono state calendarizzate dal gup Gianluca Sarandrea: una al mese, fino ad aprile. Salvo che non venga accolta la richiesta dell’accusa di velocizzare con due udienze al mese. Insomma, se tutto dovesse andare bene verrà deciso a fine febbraio 2020 chi dovrà sostenere il processo per i 29 morti del 18 gennaio 2017: tre anni dopo. Altrimenti se ne parlerà in primavera, o persino dopo l’estate. Si spiega così la protesta del Comitato vittime che all’esterno del tribunale di Pescara ha appeso una serie di striscioni con le scritte: “Il dolore non va in prescrizione né si rinvia” e “29 morti non scioperano ma vogliono giustizia”. Gianluca Tanda, che fa parte del Comitato, sottolinea: “Io devo poter tornare a casa e dire a mia madre chi sono i colpevoli, chi ha ucciso suo figlio e non certo che non lo potremo mai sapere perché sono scaduti i termini di legge ed è scattata la prescrizione”. Al centro del procedimento, le ipotesi accusatorie sostenute dal procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia, focalizzate sulla mancata realizzazione della carta valanghe -cioè il protocollo sul rischio valanga – sulle presunte inadempienze relative a manutenzione e sgombero delle strade di accesso all’hotel e sul tardivo allestimento del centro di coordinamento dei soccorsi. I reati ipotizzati a carico di 25 imputati (ma è stata chiesta la riunificazione con il filone bis) vanno, a vario titolo, dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all’omicidio e lesioni colpose, all’abuso d’ufficio e al falso ideologico.

Norman Atlantic, il disastro del traghetto senza processo dopo 5 anni
Era il dicembre 2014 quando il Norman Atlantic andò a fuoco mentre era in navigazione tra Igoumenitsa e Ancona. Morirono in 31. A quasi 5 anni di distanza, il procedimento è ancora in fase di udienza preliminare. Ultima apparizione in aula a giugno, la prossima a novembre. E l’attività vera e propria non è ancora iniziata tra difetti di notifica e responsabili civili con sedi all’estero e quindi tempi raddoppiati. I reati ipotizzati a carico di 30 persone e due società sono, a vario titolo, di cooperazione colposa in naufragio, omicidio colposo, lesioni colpose plurime oltre alla violazione di norme della sicurezza sul lavoro. Quantomeno i reati contravvenzionali – prescrizione in 7 anni e mezzo – rischiano sempre più seriamente di restare impuniti.

Ferrotramviaria, i rischi per lo scontro treni in Puglia
È entrato in fase dibattimentale il processo per lo scontro dei treni di Ferrotramviaria tra le stazioni di Andria e Corato, in provincia di Bari. Nell’impatto frontale in una tratta a binario unico morirono 23 persone e altre 51 rimasero ferite. Era il 12 luglio 2016. Ferrotramviaria, a giugno, ha chiesto e ottenuto la ricusazione dei giudici perché nel provvedimento di citazione della Regione Puglia, il Tribunale aveva definito “inaffidabile” la società. “Una irrituale ed illegittima anticipazione del giudizio in ordine alla responsabilità dell’ente”, lamentava il gruppo ferroviario. La Corte di Appello di Bari ha accolto la contestazione e nominato un nuovo collegio. Le accuse per 16 dirigenti e dipendenti (una ha scelto il rito abbreviato) della società Ferrotramviaria e del ministero delle Infrastrutture sono, a vario titolo, di disastro ferroviario, omicidio colposo, lesioni gravi colpose, omissione dolosa di cautele, violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e falso. Dallo scontro sono passati quasi 3 anni e mezzo: alla prescrizione dei reati contravvenzionali ne mancano poco più di quattro e il primo grado è lontano dalla conclusione.

La Torre Piloti di Genova: l’inchiesta bis ancora in primo grado
Salvo il filone principale sul Jolly Nero che ad aprile approderà in Cassazione, galoppa verso la prescrizione il filone bis dell’inchiesta legato alla costruzione della Torre Piloti, crollata il 7 marzo 2013 dopo l’impatto con il cargo della compagnia Messina uccidendo 9 persone. A maggio 2018 il gup del Tribunale di Genova, Maria Teresa Rubini, ha rinviato a giudizio 12 persone. Tra loro anche l’ex comandante delle Capitanerie di porto italiane, Felicio Angrisano. Le accuse sono a vario titolo di omicidio colposo, disastro e omissione impropria. Per l’avvocato Massimiliano Gabrielli, che con i colleghi Alessandra Guarini e Cesare Bulgheroni assiste Adele Chiello Tusa, madre di una delle vittime, “siamo ancora in fase di istruttoria dibattimentale e c’è un serio rischio di prescrizione”. Langue in fase di indagini preliminari il terzo troncone dell’inchiesta sulle presunte false certificazioni ottenute dalle compagnie attraverso alcuni funzionari del Rina.

La prescrizione su Viareggio (e il ritardo delle motivazioni)
Lo scorso 20 giugno sono arrivate le condanne in secondo grado per la strage del 29 giugno 2009 nella quale morirono 32 persone. Per gli imputati condannati – tra cui l’ex ad di Ferrovie, Mauro Moretti, 7 anni – sono state riviste al ribasso le pene per la prescrizione di alcuni reati. In appello è stato “cancellato” dal tempo il reato di incendio colposo e solo perché è stata riconosciuta l’aggravante del disastro sul lavoro non sono stati dichiarati prescritti pure l’omicidio colposo plurimo e le lesioni gravi e gravissime. Le motivazioni della sentenza non sono ancora state depositate: il collegio fiorentino ha chiesto una proroga rispetto agli iniziali 90 giorni. Poi il processo andrà verso la Cassazione.

Eternit, il caso simbolo. E Renzi diceva: “Cambiare la prescrizione”
“La prescrizione è maturata prima della sentenza di primo grado”. Era il 20 novembre 2014 quando la prima sezione penale della Cassazione annullò le condanne senza rinvio del processo Eternit. Così il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, condannato a 18 anni in primo grado il 13 febbraio 2012, si vide cancellata la pena inflittagli dalla Corte di appello di Torino sui fatti del giugno 1976. In migliaia morirono a Casale Monferrato per il tumore che, secondo i giudici di primo grado, era stato provocato dall’inalazione di polveri d’amianto. Vennero anche annullati i risarcimenti ai familiari delle vittime. Un caso simbolo, che smosse anche il mondo politico. Almeno nelle intenzioni. Questo il commento di Matteo Renzi, all’epoca presidente del Consiglio: “Ci sono due modi per concepire il caso Eternit: o la vicenda non è un reato o se lo è, ma è prescritto, vanno cambiate regole sulla prescrizione perché non è possibile che le regole facciano saltare la domanda di giustizia. Non ci dev’essere modo di chiudere la partita velocemente perché tanto la domanda giustizia viene meno: no, la domanda di giustizia non viene meno”. Quindi la promessa: “Cambieremo il sistema del processo e le regole del gioco della prescrizione”. In seguito arrivò la riforma di Andrea Orlando, quando però a Palazzo Chigi sedeva già Paolo Gentiloni. Adesso la riforma Bonafede sarebbe per sempre cancellato il rischio di altri casi Eternit: i renziani, però, devono aver cambiato idea.

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