Sto seguendo intensamente la situazione cilena anche se dall’Italia, guardando tv, reti sociali, leggendo e parlando con amici. I “militari in strada come ai tempi del colpo di Stato“? Lasciatelo dire a uno che il colpo di Stato del 1973 l’ha vissuto (sono stato anche l’unico italiano arrestato): non c’è paragone, non scherziamo. È grave quel che succede. L’Istituto dei Diritti Umani si è costituito parte civile per cinque uccisi da colpi d’arma da fuoco e riporta 220 feriti d’arma da fuoco in sei giorni, oltre a 2mila arrestati (ma molti già scarcerati).

Ma non c’è paragone, soprattutto nell’atmosfera e nel discorso pubblico. Il presidente Sebastian Piñera e il ministro degli Interni Andres Chadwich – sicuramente colpevoli di aver quantomeno gettato benzina sul fuoco con la proclamazione dello stato d’emergenza e coi coprifuoco notturni – parlano sempre più come mammolette liberali, preoccupati di ripetere che i diritti umani devono essere rispettati.

E lasciatelo dire a uno che ha vissuto anche l’Italia dalla primavera del 2018 all’estate del 2019: sarà un ipocrita, ma il ministro degli Interni Chadwich si presenta e parla come un raffinato e cauto politico dell’Unione europea e al suo confronto Matteo Salvini è un provocatorio leader populista latinoamericano. Persino le baruffe coi cartelli nel Parlamento cileno in questi giorni convulsi appaiono pacate rispetto alle risse politiche italiane.

È esagerato e fuorviante descrivere la situazione cilena come se ci trovassimo di fronte all’offensiva feroce di una destra feroce che vuole reprimere la libertà di stampa e di manifestazione. I giornalisti Rai avrebbero solo da imparare da come i giornalisti della tv pubblica Tvn cilena sono scomodi e ficcanti quando intervistano i politici. Ha poco senso e poco fondamento diffondere voci come quella che i morti uccisi dai militari sarebbero in realtà più di 40 o cose del genere.

Il Cile pullula di cellulari, riprese e giornalisti, e ovviamente anche di fake news, che però vengono contestate e smentite da altre fonti. Non c’è censura. È giusto e bello che ci si mobiliti a fianco del popolo cileno, ma non c’è bisogno di dipingersi un quadro falso per mobilitarsi. È un momento difficile, speranzoso e anche pericoloso per il Cile, in cui sono venuti al pettine in modo convulso i nodi della diseguaglianza, della precarietà e della crisi di rappresentatività politica. Non è un altro mondo rispetto a quello in cui viviamo, per questo vale la pena essere vicini ai cileni.

Ecco in breve quali sono le cose che mi hanno più colpito e sulle quali mi interrogo di più.

Le manifestazioni di mercoledì 23 ottobre sono state massicce e piene di anche di cultura, cartelli, parole d’ordine, musica, spettacoli e persino giochi. Sono avvenute in tutte le città cilene, ma con una egemonia di studenti e “classe media”, mentre sembrano più sporadiche nei quartieri e comuni più poveri, dove invece sono avvenuti e continuano ad avvenire parecchi episodi di saccheggio e/o di scontri tra ragazzi incappucciati e carabinieri o militari.

La questione dei saccheggi è particolare, importante e mi pare ancora poco indagata. Indubbiamente non sembra finora emersa da nessuna parte – governo, commercianti, cartello delle opposizioni sociali – nessuna proposta valida per bloccare o viceversa gestire questo fenomeno. L’ipotesi che cinicamente i responsabili dell’ordine pubblico tollerino questi saccheggi per alimentare e giustificare l’emergenza non è infondata (è forse l’unica dietrologia un po’ fondata in tutte quelle che circolano).

Ma un giornale serio come La Tercera ha anche verificato alcuni episodi in cui il saccheggio è stato mediato, controllato e quasi meditato dai militari – o dal sindaco di San Pedro de La Paz – come male minore rispetto al rischio di mettere in pericolo la vita delle persone. E in un contesto in cui c’è stata anche l’ansia di non riuscire a procurarsi cibo e beni indispensabili perché molti centri commerciali erano chiusi.

Da una parte i saccheggi, e ancora di più gli incendi e i vandalismi, sono il più grande rischio per il movimento di protesta, perché legittimano lo stato d’emergenza, i coprifuoco e quant’altro, e possono addirittura portare a una contromobilitazione “contro il caos”. Dall’altra è notevole che finora, nonostante danni gravi come quelli alla metropolitana, in un paese dove la destra ha vinto le elezioni, non ci sia stata ancora nessuna mobilitazione, neanche piccola, a favore del governo o dell’intervento militare.

Solo alcuni (pericolosi e con le spranghe) picchetti organizzati dai commercianti, ma senza contrastare il generale movimento di protesta. In Cile comunque, se è vero che sono state questioni di ordine pubblico a far dilagare la protesta, il tema numero uno non è quello. “Cosa volete?” chiede il giornalista ai deputati della nuova sinistra, il Frente Amplio. “Le pensioni, la sanità pubblica, la giustizia fiscale, le 40 ore, il salario minimo, la riduzione delle diseguaglianze cominciando dall’abbassare i compensi di parlamentari e ministri”. “Ah, ma non volete che i militari tornino nelle caserme? “Ah si già, ha ragione… Ma innanzitutto le pensioni, la sanità” eccetera, e ricomincia l’elenco.

Chissà se il cartello di sigle che ha convocato manifestazioni e scioperi di ieri 23 e oggi 24 arriverà al punto di dovere e potere negoziare col governo. Per adesso tutti cercano solo di indovinare in cosa può consistere la svolta verso la calma, quale misura politica, economica o simbolica può dare alla gente in piazza la sensazione di aver ottenuto qualcosa di importante.

Ps: è uscito un sondaggio secondo il quale l’83,6% dei cileni è d accordo con le manifestazioni e l’80% è scontento del Presidente.

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