“Faccio il sismologo in un Paese a sismicità quasi zero, mentre l’Italia, periodicamente soggetta a terremoti, ha centri eccellenti e pochissimi fondi”. Raffaele Bonadio si definisce un “radiologo della terra”: calabrese di nascita, laureato a Pisa, sta concludendo un dottorato in sismologia a Dublino, dove rimarrà anche per il post-doc. “I miei colleghi italiani mi raccontano di contratti non terminati, ricerche abbandonate per mancanza di fondi, baroni. Anni fa credevo fosse solo uno stereotipo, ora mi sento fortunato”.

Dopo la laurea in Fisica all’Università di Pisa, Raffaele per un anno lavora a Milano: “Facevo consulenza informatica per una banca: insieme a me c’erano laureati in Ingegneria o in Matematica, tutti con un contratto da metalmeccanici. Non è uno scherzo: avevamo firmato un contratto che prevedeva di andare a lavoro in tuta blu e casco, anche se ovviamente andavamo in giacca e cravatta. Era veramente sottopagato, lo dico senza retorica. Eravamo invitati a lavorare oltre l’orario anche se non c’era nulla da fare, solo per mostrare al cliente che facevamo gli straordinari”. Decide allora di tornare a Pisa per la specialistica in Geofisica: conclusa la laurea magistrale si guarda intorno per il dottorato. “Ho mandato centinaia di applications, più della metà in Italia: ho ricevuto risposte da Germania, Danimarca, Regno Unito, mai dal mio Paese”. Il primo a rispondere è un istituto di ricerca in geofisica a Dublino. L’argomento di ricerca è interessante, la paga buona e allora Raffaele pensa: perché no? Per fare il colloquio, racconta, l’istituto ha coperto le spese di viaggio e la trasferta. E così inizia il dottorato in sismologia presso il Trinity College, lavorando al Dublin Institute for Advanced Studies, nelle stesse stanze dove lavorò anche il fisico premio Nobel Erwin Schrödinger – ricordato dai liceali di tutto il mondo per il paradosso del gatto nella scatola.

Ora che il dottorato sta per concludersi, ha ricevuto un’offerta per un post-doc: “Era una di quelle offerte che non si possono rifiutare: ho accettato sia per i benefit economici, che per la felicità sul posto di lavoro, qui faccio quello che mi piace, mi diverto”. Altre opportunità si sarebbero aperte – racconta – in Germania, Portogallo, Australia, Stati Uniti, Austria, Olanda. Anche stavolta, dal suo Paese, nulla: “Ho cercato e continuo a cercare posizioni aperte in Italia, ma non riesco a trovarne. Dispiace”.

Raffaele si definisce “un radiologo della terra”, che osserva ciò che succede sotto i nostri piedi: “Recentemente per esempio sono stato per tre settimane in balia delle onde nel Nord Atlantico, per posizionare dei sismografi sul fondo dell’oceano. Mentre eravamo lì facevamo dei progetti educativi, parlavamo in streaming con gli studenti delle scuole irlandesi”. Raffaele ha anche contattato una scuola vicino al suo paese natale, Platania, in provincia di Catanzaro: “Abbiamo spiegato il nostro lavoro e risposto alle loro domande”. Non sa se considerarsi veramente un cervello in fuga: “Non ho mai avuto veramente la possibilità di chiedermi: resto o vado? Ho trovato lavoro fuori e sono partito. E forse non avrò questa scelta nemmeno in futuro”.

L’ironia, dice Raffaele, è che lavora come sismologo in un Paese a sismicità quasi zero: “Qui i terremoti sono praticamente inavvertiti, nonostante ciò Dublino ha un istituto molto attivo. L’Italia, che è una terra fortemente sismica, ha centri di eccellenza ma pochissimi fondi”. Nel 2016, con un team di ricerca internazionale, è andato ad Amatrice. “Quando ero lì a installare i sismografi percepivo fortissima la differenza di risorse. La mancanza di fondi si vede dalle cose pratiche: la benzina per arrivare sul posto, le pale, i picconi”. Considerato l’alto rischio sismico del nostro Paese, spiega Raffaele, bisognerebbe investire di più: “Noi sismologi non possiamo prevedere i terremoti, ma la ricerca è fondamentale per la prevenzione del rischio. Costruire in modo adeguato è fondamentale. Mi hanno colpito le case ad Amatrice: per ognuna crollata spesso quella accanto, confinante, era rimasta in piedi senza crepe”.

Raffaele dice di sentirsi “fortunato”, soprattutto quando, in conferenze internazionali, ha modo di incontrare i suoi colleghi rimasti in Italia: “Alcuni non trovano fondi per pubblicare, altri lavorano senza esser pagati, in attesa di un contratto che verrà. Anni fa credevo fosse solo uno stereotipo”. Poi ci riflette e aggiunge: “Mi sento fortunato ma mi rendo conto che non sto facendo nulla di speciale: sto facendo il mio lavoro, ma sono sicuro di avere uno stipendio a fine mese”. Senza le preoccupazioni che aveva respirato in Italia: il pensiero di non arrivare a fine mese, l’assenza di meritocrazia e il baronismo imperante: “Se penso ai vantaggi di lavorare qui non mi vengono in mente solo le condizioni economiche – che pure mi consentono di vivere dignitosamente – e la situazione attuale, è il futuro che è molto più roseo – conclude -. Ti senti valorizzato. So che si sente dire spesso e suona anche retorico, ma è la verità, ed è la cosa più bella”.

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