Non aveva con sé la pistola di ordinanza, al contrario di quanto dichiarato inizialmente. E, come emerge dalle 210 pagine dell’informativa consegnata ai pm, nel corso dell’operazione non aveva comunicato il cambio del luogo dell’appuntamento con i due presunti assassini. In tutt’altra zona rispetto alle indicazioni della centrale. Andrea Varriale dovrà rispondere del reato di “violata consegna” davanti al Tribunale militare. Il collega di Mario Cerciello Rega, il carabiniere ucciso nel quartiere Prati a Roma la notte fra il 25 e il 26 luglio, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura militare per la violazione degli articoli 120, 121 e 122 del codice penale militare di pace. “Un atto dovuto”, hanno fatto sapere i legali del carabiniere, che hanno ricevuto la notifica del provvedimento nella giornata di lunedì. Dell’omicidio sono accusato due 19enni statunintensi, Elder Finnegan Lee – che ha confessato di essere l’autore delle 11 coltellate – e Gabriel Natale Hjorth.

Il cambio del luogo dell’incontro non comunicato – Dalla dettagliata ricostruzione operata dagli inquirenti, che hanno incrociato le dichiarazioni di testimoni e indagati, i filmati delle telecamere di videosorveglianza, le conversazioni e le tracce gps, si evince come alla pattuglia in borghese formata da Cerciello Rega e Varriale fosse stato inizialmente indicato di incontrare i due americani in piazza Gioacchino Belli, nel rione Trastevere, per operare uno scambio in incognito (cosiddetto ‘cavallo di ritorno’) e recuperare lo zaino sottratto a Sergio Brugiatelli, il quale poco prima aveva “truffato” i giovani nel suo ruolo di intermediario fra i giovani e alcuni spacciatori.

L’appuntamento, in realtà, era in via Gioacchino Belli, nel quartiere Prati, a quasi 3 chilometri. Circostanza che i due militari non avrebbero fatto presente alla centrale operativa. “Ma come sei arrivato a via Cicerone da piazza Trilussa?”, chiede l’addetto della centrale operativa a Varriale poco dopo che Cerciello venisse soccorso, ormai in fin di vita. “Eh, perché l’appuntamento non era lì, era da un’altra parte”, ha risposto il carabiniere, beccandosi anche la reprimenda del collega: “Eh ma dimmelo chiamami no, ti faccio avvicinare una macchina lì vicino!!”, si legge nella conversazione. Un dettaglio importante perché, come emerso sin dall’inizio, non c’erano auto a supporto dei due carabinieri e, dall’accoltellamento sono passati 22 minuti prima dell’arrivo dell’automedica.

La bugia sulla pistola d’ordinanza – L’altra vicenda che mette in discussione la posizione di Varriale riguarda la questione della pistola d’ordinanza. Né lui né Cerciello Rega ce l’avevano quella sera. “È custodita in sicurezza in caserma”, ha risposto ai colleghi sopraggiunti subito dopo il delitto, i quali poi hanno regolarmente riferito una volta escussi come testimoni davanti ai pm. “La circostanza – lo giustifica uno degli appuntanti ascoltati – appariva coerente con la finalità del servizio svolto in abiti civili, funzionale al contrasto allo spaccio di droga in zona a Trastevere”. Ovvero “se avessero portata l’arma con loro, in considerazione della sue dimensioni, sarebbero stati facilmente identificati come militari ed avrebbero così vanificato l’attività da loro stessi posta in essere”.

Ma durante il suo primo colloquio con gli inquirenti, quello del 28 luglio, Varriale aveva affermato che, insieme a Cerciello Rega, “Siamo usciti all’orario previsto a bordo di un’autovettura con targa di copertura messa a disposizione del Comando Stazione CC Piazza Farnese dal Nucleo Operativo della Compagnia Roma Centro, da me condotta. Io avevo indossato la pistola di ordinanza e le manette di sicurezza”. La circostanza fa il paio con le prime informazioni rese dagli inquirenti alla stampa nelle ore successive all’omicidio, con il comandante provinciale dei Carabinieri di Roma, Francesco Gargaro, costretto pochi giorni dopo ad ammettere che “Mario non aveva con sé la pistola d’ordinanza, forse l’aveva dimenticata”.

I whatsapp di Varriale a Cerciello: “Attento, forse è un diversivo” – Dalla ricostruzione emerge che Brugiatelli, l’uomo che – al momento – inconsapevolmente conduce i due carabinieri nella “trappola” degli americani, non era noto alla centrale operativa, ma era conosciuto a Cerciello Rega. Il quale non si fidava minimamente. “Noi questo qua, l’amico, l’abbiamo già fermato, aveva fatto una sola (una fregatura, ndr) ad una persona”. E ancora: “Io non so se è veritiera oppure no questa cosa, perché questo qui abita a Marconi perché prima l’ho visto e stavo parlando di questa cosa capito? Perché ho identificato il soggetto lì”. Forse, anche per questo motivo, i due militari hanno deciso di lasciarlo vicino alla macchina, preferendo andare di persona ad incontrare i giovani, etichettati come “due polli” poco prima dall’operatore della centrale.

Ma è appena tre minuti prima dell’accoltellamento – avvenuto in appena 32 secondi – che accade l’episodio più inquirentante. Andrea Varriale cammina fianco a fianco di Cerciello Rega. Si dirigono verso via Cossa, nell’unico punto in cui non ci sono telecamere. A un certo punto prende il telefonino e scrive tre messaggi whatsapp al collega: “Stai attento”, il primo. “Potrebbe essere un diversivo”, il secondo e “Magari è un altro posto”, il terzo. Dopo appena 120 secondi l’incontro, con l’aggressione e Cerciello Rega fino a terra con Varriale che, invano, prova a tamponargli le ferite con la sua maglietta. Uno dei carabinieri ascoltati come persona informata sui fatti, a questo proposito, ha azzardato: “Ero rimasto colpito dall’atteggiamento mostrato da Varriale, il quale mi era sembrato non particolarmente scosso dall’accaduto”.

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