Era stato arrestato alle 7.15 del 7 dicembre 1994 mentre si nascondeva in una villetta a Prozzolo di Camponogara, in provincia di Venezia, quasi sei mesi dopo essere evaso dal carcere Due Palazzi di Padova, dove un commando lo aveva liberato insieme all’allora boss della Mala del Brenta Felice Maniero e ad altri quattro banditi. Antonio Pandolfo, detto ‘Marietto’, ex braccio destro di ‘Faccia d’angelo’, verrà liberato il prossimo 29 ottobre, come rivela il quotidiano La Nuova Venezia. Un fine pena che farà discutere in Riviera del Brenta, terra dell’unico sodalizio del Nord riconosciuto formalmente come associazione criminale di stampo mafioso, ovvero la banda che ha imperversato in Veneto – e non solo – dagli anni Settanta fino a proprio il 1994, quando il boss Felice Maniero ha iniziato a collaborare pochi giorni dopo la cattura, avvenuta a Torino.

Pandolfo, 64 anni, conosciuto anche come ‘Mario grosso’ per via della stazza, lascerà il carcere di massima di sicurezza di Sulmona: lì era stato trasferito dal carcere di Livorno, dal quale secondo gli investigatori non aveva mai smesso di dare ordini per compiere le rapine, il suo pezzo forte. E a temere più di tutti per la scarcerazione è Maniero, che Pandolfo – uno dei pochi della banda a non aver mai collaborato con la giustizia – si racconta vorrebbe morto. Dopo la fuga dal carcere di Padova, infatti, ‘Marietto’ era stato in Turchia insieme a Nua Berisa, uno dei compagni di evasione come anche il boss foggiano Vincenzo Parisi: proprio il turco gli aveva consegnato oltre 50 chili di eroina, che Maniero aveva deciso di tenere tutti per sé, facendo infuriare Pandolfo. Il timore è una sua possibile vendetta, come lo stesso Maniero ha lasciato intendere parlando dei suoi luogotenenti.

In carcere Marietto non ha perso un giorno di allenamento muscolare e dieta mirata. Alto e ben piazzato, Pandolfo è stato uno dei primi componenti della banda di Maniero, quella che per farsi conoscere nella zona che confina tra Venezia e Padova metteva a segno furti e rapine, oppure seminava il panico nei locali a calci e pugni, al punto di far guadagnare a ‘Mario grosso’ i galloni di ‘vice’ del boss. Quando bisognava fare sul serio, lui c’era: così è stato nei colpi ai danni dei laboratori orafi, all’Hotel Des Bains al Lido di Venezia nel 1982, all’aeroporto Marco Polo di Tessera un anno più tardi, al casinò del Lido di Venezia nel 1984. Ma anche nella ‘notte dei cambisti’, il 10 ottobre 1980, quando alcuni esponenti della banda picchiarono a sangue alcuni estorsori che prestavano denaro a strozzo fuori dal casinò di Venezia per prendere il loro posto. E c’era anche durante la rapina al treno postale di Vigonza, sulla Milano-Padova, quando nell’esplosione morì la studentessa Cristina Pavesi.

Il suo sangue freddo nelle azioni criminali e la facilità con cui sparava hanno reso Pandolfo uno dei più temibili della banda, tanto che, per fermarlo, il colonnello dei carabinieri Giampaolo Ganzer aveva escogitato il metodo del ‘ferrovecchio’, che consisteva nel mandare il blindato più malandato dell’Arma a sbattere contro la sua auto. Era l’unico modo per intimargli l’alt prima che sparasse. Se si escludono un paio di ‘viaggi d’affari’ – quello in Turchia dopo l’evasione dal Due Palazzi e uno in Francia – Pandolfo non aveva mai lasciato la Riviera del Brenta, dove ha vissuto per molti anni in una villetta a Lughetto di Campagnalupia prima di essere portato in galera. E lì non ha mai ‘cantato’, al contrario di molti ex mafiosi del Brenta.

Alle spalle, una condanna all’ergastolo per una serie di reati aggravati dall’associazione mafiosa, oltre al sequestro di tutti i suoi beni. Ma ora, come conferma il suo avvocato Alessandro Menegazzo alla Nuova Venezia, Pandolfo tornerà nella sua Riviera. Per ironia della sorte, il 30 ottobre, il giorno dopo che ‘Marietto’ sarà tornato in libertà, chiuderà la sezione del Ros dei carabinieri di Mestre, attiva nel contrasto alle bande che stanno rifiorendo in Riviera del Brenta.

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