Partiti in cerca di un lavoro. Gli emigranti esistono anche in Italia. Vanno verso il nord del Paese, verso l’Europa, verso l’America. Lasciano la famiglia come a inizio Novecento, con una ideale “valigia di cartone”. Ecco alcune delle loro storie raccontate a valigiadicartone.ilfatto@gmail.com

Pozzuoli, provincia di Napoli.
Da ragazzo che sognavo di poter entrare al conservatorio per poter diventare ciò che il mio cuore voleva. Un musicista, volevo suonare per tutta la vita. Nelle prove mi dissero che ero bravo, ma se volevo entrare dovevo pagare. Non c’è frase più brutta di questa per un paese dichiarato democratico, perché se una persona non può realizzare i propri sogni significa che c’è un problema molto grave nella società.

Svanita questa possibilità mi iscrivo alla scuola superiore di elettrotecnica. Mi diplomo nel 2000. Speravo di potermi iscrivere all’università Federico II di Napoli ma i soldi non c’erano. Allora mi son detto: con la scuola che ho fatto spero di potermi inserire presto nel mondo del lavoro. Allora invio decine di curriculum, ma mi arriva soltanto una risposta. Mi dicono che cercano persone già formate. Quindi, da neodiplomato come ero quel “minimo tre anni di esperienza” non ce li potevo avere. L’unico lavoro che sono riuscito a trovare è stato in una pizzeria in nero. Guadagnavo 55 euro a settimana e lavoravo 12 ore al giorno, 6 giorni su sette. Aprivo e chiudevo il negozio per due anni, poi ho fatto diversi altri lavori umili.

Non è che gli italiani non vogliano lavorare, è che il paese è malato e anche la sua politica lo è. Il tessuto economico dell’Italia e macchiato di sangue innocente e le istituzioni sono altrettanto colpevoli. Una persona non dovrebbe essere costretta ad emigrare.

Aniello

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