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Johnny Clegg, morto lo “Zulu Bianco”: amico di Nelson Mandela, cantava contro l’apartheid

Nato in Inghilterra da padre inglese e madre della Rhodesia, i suoi genitori divorziarono qualche mese dopo la sua nascita e la madre lasciò il Regno Unito per tornare a vivere in Africa, dove era cresciuta. Il suo brano più famoso è Asimbonanga (“non l’abbiamo mai visto”), dedicato al leader sudafricano allora detenuto da anni a Robben Island

di Giusy Baioni

Il Sudafrica è in lutto. Piange uno dei suoi simboli, Johnny Clegg, morto martedì a Johannesburg per un tumore al pancreas, a 66 anni. Stamattina il presidente Cyril Ramaphosa ha reso omaggio alla sua memoria: “Il Sudafrica oggi è un posto migliore grazie al coraggio, alla resilienza e all’irrefrenabile creatività di questa speciale icona”. Non solo cantante, ballerino, antropologo: Johnny Clegg è soprattutto un simbolo. Lo chiamavano lo “zulu bianco”. La sua è stata da sempre una musica militante, una voce contro l’apartheid. Valga su tutti Asimbonanga, il suo brano più celebre, dedicato a Nelson Mandela quando questi era detenuto a Robben Island.

Nato in Inghilterra da padre militare inglese e madre della Rhodesia, attuale Zimbabwe, di origini ebraiche polacche, i suoi genitori divorziarono qualche mese dopo la sua nascita e la madre lasciò il Regno Unito per tornare a vivere in Rodhesia, dove era cresciuta. Quando Clegg aveva sei anni, si trasferirono in Sudafrica, dove la donna conobbe il secondo marito, giornalista e militante antiapartheid. Qui Johnny, adolescente, divenne amico di un cantante zulu immigrato che gli insegnò a suonare la chitarra e lo condusse nei club delle township, i quartieri poveri dove Clegg imparò danze, musica e anche lingua zulu. Frequentazioni non consentite nel Sudafrica di allora: a 15 anni Clegg fu arrestato per la prima volta per violazione delle leggi che imponevano l’apartheid, la separazione fra bianchi e neri. Arresto a cui ne seguirono altri.

Nel 1969 incontrò Sipho Mchunu, cantante, chitarrista e percussionista e i due cominciarono a suonare insieme, mentre Johnny proseguiva gli studi di antropologia all’Università di Witwatersrand, a Johannesburg, dove insegnerà poi regolarmente fino al 1982 pubblicando anche testi e ricerche su musica e danza zulu. Intanto, nel 1976, Clegg e Mchunu fondano il gruppo Jukula, del quale entrano a far parte altri quattro musicisti, due bianchi e due neri: la loro musica univa melodie le pop-rock britanniche a quelle zulu tradizionali e si serviva di entrambe le lingue per i testi che veicolavano messaggi contro l’apartheid. Una scelta certo non ben vista dal regime e che causò a Clegg moltissimi problemi.

Il loro primo album, Universal Men, venne censurato. Non riuscendo a ottenere autorizzazioni per i concerti, la band si esibiva in chiese, università, case private, sale anonime, luoghi clandestini. Più volte vennero interrotti dalle autorità e arrestati. Ciononostante, Juluka riuscì più volte a esibirsi all’estero e conquistò due dischi di platino e cinque album d’oro.

Nel 1985 Sipho Mchunu lasciò il gruppo per prendersi cura della sua famiglia. Clegg allora fondò un’altra band, Savuka, insieme al musicista e ballerino Dudu Zulu, con la quale ottenne altri successi internazionali e una nomination ai Grammy Awards. È con Savuka che Clegg compose la sua canzone più celebre, Asimbonanga, che in zulu significa “non l’abbiamo mai visto”: il testo era dedicato a Mandela, detenuto da anni, di cui il regime sudafricano aveva vietato persino la diffusione di immagini.

Dopo una breve riedizione del gruppo Jukula, Johnny Clegg iniziò la carriera da solista e non si fermò nemmeno quando, nel 2015, gli venne diagnosticato un tumore al pancreas. Volle invece proseguire portando in giro il tour The final journey, consapevole della sua fine imminente.

A chi lo accusava di fare politica tramite la sua musica, rispondeva negando risolutamente: “Per me un attivista politico è chi si impegna per una particolare ideologia. Io non appartengo a nessun partito politico. Io lotto per i diritti umani”.

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