Artur stringe tra le mani quel che rimane di un inverno vissuto fuori dai cancelli della fabbrica. È una busta gialla, appena arrivata, ma il contenuto lo conosce già. «Guarda, ho perso giornate e soldi per scioperare. Ora mi ritrovo anche con una denuncia». Ha 25 anni e una “r” quasi impercettibile che tradisce le origini albanesi. È un delegato sindacale di Italpizza, gigante modenese delle pizze surgelate da 127 milioni di euro di fatturato l’anno. Da mesi partecipa insieme a un gruppo di suoi colleghi ai picchetti organizzati a singhiozzo davanti allo stabilimento. «Chiediamo dignità e il contratto adeguato, cosa dovremmo fare?».

Una cronista di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 8 giugno, ha passato una settimana nella “Food Valley” tra Reggio Emilia e Modena, seguendo diverse vertenze che vedono protagonisti i meno tutelati tra i lavoratori: per lo più stranieri e assunti non dalle aziende in cui lavorano, ma da cooperative esterne, con diritti prossimi allo zero. Il reportage, nel numero che ha per tema portante i sindacati oggi, dà conto del “successo” dei sindacati di base, come il Si Cobas, nel rappresentare questi lavoratori di frontiera, di fronte alle rigidità e ai ritardi delle sigle confederali.

Quella dell’Italpizza è infatti solo la più recente delle battaglie sindacali aperte in Emilia. Anche se non è l’unica. Il distretto agroalimentare modenese, uno dei più importanti in Europa, oggi è percorso da decine di proteste. Negli anni passati questa è stata considerata una terra dell’oro. In nome dell’occupazione, la politica (che da queste parti significa Pd, e ancora prima Ds) e le istituzioni non si sono domandate chi stava pagando il prezzo più alto. Così mentre gli stabilimenti si allargavano e i fatturati salivano, nella filiera si metteva a punto un meccanismo perfettamente legale di appalti e subappalti, con cooperative che per aggiudicarsi l’incarico riducevano drasticamente il costo della manodopera. Le denunce e gli allarmi sui rischi rimanevano lettera morta.

Certo, lo stipendio può anche arrivare a 1.400 euro netti al mese, ma la cifra da sola non dice tutto. Non sempre vengono versati i contributi previdenziali o pagati correttamente gli straordinari, le ferie o i permessi. In alcune aziende, nel passaggio da una coop all’altra, i soci lavoratori si sono visti recapitare le cartelle esattoriali con le tasse non versate. E naturalmente il posto di lavoro può saltare molto più facilmente rispetto al dipendente di un’azienda.

Fra le tante storie raccontate da FQ MillenniuM, c’è appunto quella di Artur, sindacalista del Si Cobas, che ora è accusato insieme ad altri suoi colleghi di resistenza a pubblico ufficiale, violenza privata e manifestazione non autorizzata per alcuni blocchi delle merci finiti con l’intervento della polizia. «Io sono agli imballaggi» racconta, mostrando il display del telefono. «Ogni giorno per sapere il mio turno devo aspettare un sms. Capita che alle 18 mi dicano che devo iniziare alle 5 della mattina successiva». Nello stabilimento la manodopera è interamente affidata a due coop, Evologica e Cofamo, che hanno in totale circa 900 lavoratori. Un appalto “genuino”, rivendica l’azienda: “Da anni sono ammesse proposte solo da imprese con la certificazione etica”. Quelli assunti direttamente da Italpizza sono un centinaio e sono impiegati negli uffici. Italpizza è insomma una fabbrica senza operai alle proprie dipendenze. 

Situazioni simili si trovano in tutto il distretto della ricca Emilia: nelle aziende di logistica del piacentino, in quelle per la lavorazione delle carni nel modenese e così via. «La Cgil è prigioniera di una struttura divisa per categorie che andava bene cinquant’anni fa», ammette Umberto Franciosi, segretario della Flai-Cgil Emilia Romagna, la federazione che si occupa del settore dell’agroindustria. «Oggi non è più adatta: abbiamo fabbriche con decine di applicazioni contrattuali, con un sistema di appalti e subappalti. Dobbiamo convincere i funzionari a fare iscrivere i lavoratori in una categoria che non è la loro. Qui a Modena ci stiamo provando, ma in generale è complicato, perché noi stiamo in piedi grazie agli iscritti: più ne hai e più peso hai. Tutto questo ci rallenta e i lavoratori si rivolgono ad altri».

Leggi il reportage completo su Fq MillenniuM in edicola

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