Chi nel Movimento 5 stelle c’è da quando Beppe Grillo era l’unica voce, dirà che gli allarmi vanno avanti da anni: “Non vi dimenticate dei territori”, il grido degli attivisti. “Noi siamo diversi”, rispondevano di solito i parlamentari facendo su e giù con la testa. Eppure qualcosa per il Movimento dei banchetti, nato e cresciuto con la religione del potere dal basso, è andato storto ed è successo molto prima del colpo senza precedenti alle Europee. Il primo a dirlo pubblicamente è stato Luigi Di Maio a febbraio scorso, subito dopo la sconfitta alle Regionali in Abruzzo: “Dobbiamo riorganizzarci”, è stata la frase testuale. Lì è iniziata una seria di annunci che girano tutti intorno ad alcune parole chiave: riorganizzarsi, riformare la struttura, tornare sui territori. E pure: dare voce alla base e far partecipare di più gli attivisti. Ma anche: migliorare la democrazia diretta.

La strada è stata tracciata il 13 febbraio, eppure da quel primo annuncio è successo poco e niente. Gli iscritti M5s hanno espresso le loro posizioni sulla piattaforma Rousseau su quattro argomenti: rapporti con le liste civiche, voto online, nuove regole per i consiglieri e organizzazione del Movimento. I risultati sono stati raccolti e saranno discussi in alcune assemblee regionali sul territorio, alla presenza, pare, dello stesso Di Maio. Quando? Si attendono indicazioni sui tempi, ma tutti assicurano succederà. Il crollo alle Europee ha riportato il tema tra le priorità: il capo politico, come prima cosa dopo essere stato riconfermato dalla base, ha ribadito che ci saranno cambiamenti strutturali e ha promesso nuove deleghe e maggiori incontri. Roberto Fico ha fatto un richiamo perché si lavori sull’identità del Movimento. E che sia urgente l’hanno detto anche i risultati: solo due eurodeputati (Giarrusso e Corrao) sono riusciti a superare le 100mila preferenze, segno di un legame con il territorio sempre più debole. Insomma Di Maio ha riottenuto sì la fiducia, ma con la promessa che cambierà qualcosa: dai poteri accentrati all’assenza di momenti di confronto sul territorio fino allo staff comunicazione sempre più contestato. Su questo si gioca la fase due del capo politico 5 stelle: la fase in cui tutti si aspettano soluzioni e nella quale rischia di essere più solo di sempre.

Di Maio solo e senza delegati. O con quelli sbagliati
Un capo solo e con pochi consiglieri. Una cerchia di fedelissimi che, ora che non ci sono i risultati, viene messa in discussione. Il problema è molto chiaro ai piani alti: Luigi Di Maio è stato il leader naturale per succedere a Beppe Grillo senza mai prendergli la scena e anche la figura che è riuscita a portare il Movimento al governo perché capace di mediare sulle posizioni più radicali. Ma la sua essenzialità è stata ed è anche la sua più grande debolezza. Mai come il momento del voto per confermarne la fiducia lo ha dimostrato. Il Movimento non è pronto per aprire una fase senza Di Maio o per dare il via alla discussione su una sua successione. Così anche chi avrebbe voluto contestare l’accentramento di poteri, di fronte al “sì ho fiducia”, “no non ce l’ho”, non ha potuto che votare perché tutto rimanesse com’è. Il tema è delicatissimo: Di Maio vicepremier, ministro di due ministeri e capo politico si trova diviso su innumerevoli fronti. Anche per questo sta lavorando perché sia affiancato da quello che un tempo venne chiamato direttorio (poi sciolto in piena crisi romana per Virginia Raggi dallo stesso Beppe Grillo) e che ora potrebbe essere una segreteria politica. Dentro saranno inglobati i volti più forti, da Fico ad Alessandro Di Battista. Di Maio l’ha detto: “Tutti coloro che si occupano di un settore devono poter aver un interlocutore con cui parlare”. La soluzione a tutto? Non sarà così facile. Nei corridoi non si fanno molte illusioni: “Il problema è dare poteri a questi organi, altrimenti se chi decide rimane sempre e solo Di Maio non cambia niente”. La segreteria potrebbe poi coincidere o essere affiancata da un gruppo di saggi per studiare e lavorare alla linea politica. “Gli esperti che volevano darci una mano, quelli della nostra squadra di governo degli inizi dove sono finiti? Andiamo a riprenderli”, è il commento che circola. Su questo tema parlano tutti e nessuno: tocca al leader uscirsene con un cordone di aiutanti che sia come quello dei partiti tradizionali, senza assomigliargli troppo.

Assemblee regionali non calendarizzate e Meetup mai sostituiti
Per il M5s il momento di confronto è storicamente la manifestazione di Italia 5 stelle, evento che si svolge ogni anno in autunno. Volutamente, per non sembrare un partito, i 5 stelle hanno sempre deciso di non fare assemblee o direzioni con delegati “in vecchio stile” che parlano collettivamente di singoli temi. Eppure, quello che era un pallino fisso di dissidenti come Federico Pizzarotti, ora inizia a mancare. Non c’è mai uno spazio per i portavoce delle varie istituzioni per vedersi intorno a un unico tavolo e ascoltarsi. Figuriamoci per dirsi che non si è d’accordo. Anche per questo le assemblee regionali annunciate dopo la consultazione sulla piattaforma Rousseau potrebbero essere la via giusta per tornare a coinvolgere la base. Però manca una data precisa: Di Maio ha annunciato che il calendario uscirà presto, ma per il momento è solo una promessa. Un tempo alla mancanza di assemblee sopperivano i Meetup: raduni di militanti che si incontravano per parlare dei problemi locali. I vertici M5s hanno deciso di chiuderli per garantire maggiore ordine e controllo della base, ma niente ha sostituito quelle occasioni. Così c’è chi si raduna lo stesso usando altri canali e chi invece si è rassegnato e non partecipare più. Con effetti diretti sulle elezioni.

Liste civiche e doppio mandato: il tabù ancora intoccabile
Tra i cambiamenti annunciati e che nessuno ha avuto ancora il coraggio di affrontare ci sono due argomenti molto delicati per i 5 stelle perché vanno a toccare direttamente la loro identità: la possibilità di allearsi con liste civiche e l’abolizione del limite del doppio mandato per i consiglieri locali che vogliono andare in Parlamento dopo un primo giro sul territorio. Non solo si tratterebbe di una grande innovazione, ma in molti casi gli attivisti erano già pronti ad applicarle sul territorio. Un esempio? Le liste civiche. Sono decine i centri andati alle amministrative dove i gruppi, abituati a lavorare sul territorio, avevano già individuato con chi e come provare a far partire un progetto comune. I casi sono in Sicilia e in Emilia Romagna, terre dove ci sono alcuni dei fedelissimi M5s e che avrebbero potuto servire da esperimento. Ma sul tema le divergenze sono tante, anche e soprattutto con Davide Casaleggio, e si è preferito, ancora una volta, non decidere.

L’eterno ritorno del problema comunicazione
E’ il grande capro espiatorio di sempre. Ogni volta che le cose sono andate male per i 5 stelle, a torto e molto più spesso a ragione, si è tirato in ballo lo staff comunicazione. Ci sono passati in tanti con esiti diversi: la testa che saltò facendo più rumore fu quella di Nicola Biondo, ex capo dell’ufficio stampa in Parlamento che venne silurato dopo aver scritto un documento in cui metteva in evidenza tutti gli errori commessi dal M5s alle Europee del 2014. Poi a turno, ma senza mai traballare davvero, è finito sotto accusa Rocco Casalino, primo capo in Parlamento e ora responsabile a Palazzo Chigi. L’accusa condivisa da molti parlamentari è che lo staff comunicazione abbia troppo potere e che, molto spesso, si sostituisca nelle decisioni politiche consigliando direttamente il capo politico M5s. Casalino in particolare è molto più di un semplice capo della comunicazione: è un uomo di fiducia per i vertici e il suo ruolo flessibile viene ormai accettato. In queste ore di grandi messe in discussione però, ci sono anche i dubbi sui metodi e i modi della comunicazione. La sera dell’assemblea sono stati tenuti fuori dalla riunione tutti i membri dello staff: un segnale di scarsa fiducia che non è passato inosservato.

I parlamentari inutilizzati
Durante la prima legislatura ci fece una campagna anche Beppe Grillo perché gli eletti tornassero nelle piazze a fare incontri e comizi. Era il segnale che si stavano ingrigendo tra stanze del potere e Transatlantico. La questione non è mai stata così seria per i 5 stelle come in questi mesi. Gli eletti sono tanti e molto spesso inutilizzati: parlano solo gli esponenti del governo, gli altri sono lasciati nell’ombra in attesa di capire come utilizzarli. Oltre i volti noti, quelli già al secondo giro e quelli che si sono fatti sentire da soli (spesso in dissenso), il resto degli eletti sono dimenticati tra l’assenza di responsabilità concrete e la scarsa iniziativa per temere di andare a interferire con le decisioni del capo politico o, ancora peggio, dell’esecutivo. A fatica finiscono sui giornali, ancora meno si vedono sul territorio. Una delle prove sono state appunto le preferenze: se non si considera il volto mediatico di Dino Giarrusso, che ha beneficiato della sua notorietà come ex inviato de le Iene, l’unico ad aver preso più di 100mila consensi è stato l’eurodeputato siciliano Ignazio Corrao. Lui, molto ascoltato dai vertici e da Di Maio, è l’unico ad aver fatto una campagna capillare sul territorio e ad aver costruito allo stato attuale una rete solida. I colleghi riconfermati non sono andati oltre le 30mila preferenze. I portavoce sul territorio da giorni portano questo come esempio della débacle, ma non è chiaro se i vertici li hanno presi in considerazione.

Voto online
L’ultimo pilastro delle riforme mancate è quello della democrazia diretta. Sul punto Davide Casaleggio non vuole sentire ragioni: la piattaforma Rousseau c’è, lavora a pieno ritmo e continua a migliorarsi. Dati alla mano è vero, le consultazioni e le funzioni aumentano, ma quello che contestano dal territorio non è la quantità. Gli iscritti lamentano le poche possibilità di partecipazione su questioni cruciali per il governo e soprattutto l’assenza di spazi dove potersi confrontare (anche online) con gli altri iscritti. Le occasioni in cui vengono chiamati in causa sono sempre molto limitate, non solo nel numero di volte, ma anche nel merito di quello che possono dire. Non da ultimo la conferma della fiducia a Di Maio: il sì e no hanno esaurito la lunga discussione sulla riforma del Movimento su cui gli iscritti si sono espressi senza avere idea di cosa succederà ora alle loro risposte. Senza dimenticare la certificazione di una società terza: Casaleggio la promette da mesi, non se ne è mai vista ombra. A febbraio scorso ha annunciato l’arrivo del sistema blockchain, ma anche qui tutto per ora è bloccato. Eppure la base online è uno dei pilastri fondamentali per il Movimento: qui Di Maio è tornato quando è stato il momento di chiedere di essere riconfermato, qui i 5 stelle hanno chiesto la benedizione prima di salvare Salvini dal processo nel caso Diciotti. Gli iscritti rispondono ogni volta, anche se sempre meno e con più malumori. La svolta la chiedono soprattutto loro.

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