La prima, bella notizia è che abbiamo votato. Finalmente. Alle spalle ci lasciamo una campagna elettorale di infimo livello in attesa che inizi la prossima. E visto che le urne non sono altro che un piccolo, catartico sospiro tra uno scontro politico e l’altro, sto già contando i minuti al primo “abbassiamo i toni”, segno imperituro che certifica l’avvio della caccia ai consensi. La seconda notizia, meno entusiasmante, è che a stracciare la concorrenza è stato il partito dell’astensione: quasi 22 milioni di italiani, cioè il 44% degli aventi diritto al voto. Un partito in salute, senza dubbio.

L’altra cosa che voglio dire, mentre lo spoglio per Regionali e Amministrative non è ancora cominciato, è che a vincere le elezioni – questa volta, sì, per davvero – sono stati in due: Lega e Fratelli d’Italia. A parte la retorica di Matteo Salvini, quasi sempre esagerata e molto spesso ingannevole, è un fatto che buona parte di stampa e tv – con qualche significativa eccezione, ci mancherebbe – gli ha sparato contro. Detto che nel nostro Paese si leggono poco i giornali e in televisione ci si appassiona di più a Mark Caltagirone che ai talk politici (e, forse, a ragione), gli italiani se ne sono infischiati della chiamata alle armi “per fermare la minaccia fascista”. E probabilmente se ne sono sbattuti pure degli striscioni ai balconi e degli Zorro alle finestre. Dall’altra parte, la Lega ha puntato e continua a puntare su cavalli con cui è facile attirare l’attenzione delle persone: la guerra alla legge più impopolare degli ultimi anni (la Fornero), la narrazione vincente su sbarchi e immigrazione (che per una bella fetta d’Italia costituiscono un problema reale), la promessa di ridurre le tasse a tutti, indistintamente. Non entro nel merito delle politiche messe in atto nell’ultimo anno dal Carroccio e che ho già avuto modo di criticare. Ribadisco, solamente, che si tratta di cavalli con cui è facile assicurarsi i voti.

L’altra forza di governo, il M5s, in caduta libera col 17%, sconta un anno sempre al traino della Lega. Così gli elettori che avevano contribuito al 32% delle scorse Politiche ma vicini a istanze tradizionalmente più di “destra” (permettetemi di leggere la realtà con le categorie destra-sinistra, che ci aiutano nella comprensione delle cose) hanno preferito Matteo Salvini. Sul fronte opposto, gli elettori più sensibili ai temi legati alla “sinistra” non hanno né digerito l’alleanza con il Capitano né il suo salvataggio da parte del Senato sul caso Diciotti col risultato che, con buone probabilità, sono rimasti a casa. 

Dall’altra parte, cosa troviamo? Ho sentito Nicola Zingaretti dire che siamo tornati al bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra. Giuro. Ma soprattutto vedo dirigenti, militanti ed elettori del Pd che festeggiano senza che abbiano nulla da festeggiare. Lo scorso 4 marzo, alla Camera, il Partito democratico, fermo al 18% e col peggior risultato della sua storia, aveva raccolto 6.134.000 preferenze. Oggi, mentre gioisce, ne ha registrate meno: 6.048.000. Questo nonostante la chiamata alle armi, nonostante un segretario in carne e ossa, nonostante il sostegno di Mdp-Articolo uno, nonostante l’appoggio di una personalità influente come Laura Boldrini, nonostante la mobilitazione di scrittori e intellettuali per il voto utile, nonostante l’aver pescato nella società civile (Pietro Bartolo, Roberto Battiston), tra i sindaci “arancioni” (Giuliano Pisapia) e nella magistratura (Franco Roberti).

La questione, in realtà, è molto semplice: il Pd ha governato il Paese con politiche di destra (Jobs Act, articolo 18, patto del Nazareno, decreto Minniti, favori a banche, autostrade e tabacchi ecc.ecc.) inseguendo la destra. Gli elettori, che non sono stupidi, quando se ne accorgono scelgono quelli più autentici. Cioè chi di destra lo è e lo sostiene con convinzione. Con Zingaretti è cambiato qualcosa? Assolutamente no (e ne ho già scritto). E tanto per cambiare, poco prima del voto, Matteo Renzi ha ribadito che bisogna guardare al centro, ai moderati, e non a sinistra. Un Pd, dunque, che continua a inseguire la destra, che non ha uno straccio di proposta, uno, e che si aggrappa a striscioni sui balconi e a persone travestite da Zorro alle finestre, è destinato a fallire. O è già fallito, dipende dai punti di vista.

Servono proposte. Proposte valide. Non serve, invece, additare gli elettori leghisti con malcelato disprezzo come fossero appestati. Non serve commentare, dandosi di gomito, “tanto hanno la terza media”. Perché così, al prossimo giro, Salvini arriva al 51%.

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