Cinema

Cannes, le ossessioni Abel Ferrara con Tommaso e il sentimento oscuro di Le jeune Ahmed dei fratelli Dardenne

In attesa degli ultimi attesissimi film – fra cui quello di Quentin Tarantino  - si può già affermare che il concorsostia tenendo un buon livello (interessanti i lavori di Céline Sciamma, Jessica Hausner, Corneliu Poromboiu..), che raggiunge l’ottimo grazie alle opere di Pedro Almodovar, Terrence Malick, l’esordiente Ladj Ly e il cinese Diao Yinan, senza menzionare l’evergreen Ken Loach

di Anna Maria Pasetti

Le ossessioni, i fantasmi, la dipendenza. Abel Ferrara torna sui temi che l’hanno reso indimenticabile ma la forza espressiva dei suoi film memorabili resta un ricordo. In ogni caso Tommaso, a Cannes fuori concorso, è un’opera che rivela il tentativo di un ritorno “in big”, per quanto location (la Roma dove attualmente il cineasta risiede) e atmosfere poco si adattino al sentimento torbido che resta la cifra emotiva del regista newyorkese. Cuore e anima, nonché eponimo del titolo è un Willem Dafoe presente in ogni inquadratura, unico punto di vista di un racconto dal sapore autobiografico (il rehab come luogo di ritrovo del sé) se non addirittura casalingo con le proprie moglie e figlia piccola attrici coprotagoniste come già era accaduto nei precedenti film italiani di Abel. Tommaso è un uomo danneggiato dalle dipendenze alla droga e all’alcol da cui si sta “ripulendo” in anni faticosi grazie ai gruppi di sostegno, lavora a casa come graphic novelist alternando docenze di recitazione, e adora la giovane compagna moldava da cui ha una bambina di 3 anni. Ma i fantasmi del passato non lo abbandonano, gelosia e maniacalità del controllo ne rallentano la guarigione completa. Ed infatti basta poco a riesumare le reminescenze di una rabbia sopita.

Un sentimento oscuro che, seppur in contesti stilistici totalmente altri, è il movente del 13enne protagonista de Le jeune Ahmed dei fratelli Dardenne, alla loro ennesima partecipazione in concorso a Cannes dopo due Palme d’oro vinte. In una Bruxelles anonima, Ahmed (il bravissimo teenager deb Idir Ben Addi) subisce il lavaggio del cervello da parte dell’imam della moschea locale che lo induce a comportarsi contro natura rispetto alla normalità di ogni adolescente suo pari. Quando lo stesso imam lo aizza contro la professoressa di arabo, perché insegna la lingua moderna su testi profani e canzoni e non quella antica desunta dal Corano, Ahmed è spinto contro di lei con una furia omicida che lo muove roboticamente a sopprimerla. Nessuno riesce a dissuaderlo, neppure l’attrazione per una ragazza della sua età, con un esito “alla Dardenne” che giustamente non è il caso di rivelare, anche perché il film uscirà nelle sale italiane prossimamente per Bim.

Scritto e girato secondo un’estetica di “realismo soggettivo” ormai “codice” di Jean-Pierre e Luc Dardenne, il dramma mette in campo un tema fondamentale, ovvero il pericolo assoluto di veicolare messaggi integralisti ed estremisti (in questo caso di fondamentalismo islamico) a ragazzi nel pieno dell’età formativa. Alle orecchie di questi teenager ogni messaggio può suonare assoluto ed essere preso alla lettera con conseguenze fatali. L’esperienza di Ahmed è dunque estendibile a qualunque ragazzo della sua età in ogni angolo del pianeta quando sottoposto a suggestioni che condizionano – se non annullano – il giudizio critico. L’impressione è che dopo un paio di opere sotto tono i fratelli belga abbiano ritrovato il tono giusto sul giusto film, benché resti distante dai loro lavori migliori.

In attesa degli ultimi attesissimi film – fra cui quello di Quentin Tarantino che già sta suscitando polemiche a causa della probabile impossibilità venga mostrato a tutta la stampa presente a Cannes per carenza di proiezioni  – si può già affermare che il concorso di Cannes 72 stia tenendo un buon livello (interessanti i lavori di Céline Sciamma, Jessica Hausner, Corneliu Poromboiu..), che raggiunge l’ottimo grazie alle opere di Pedro Almodovar (che resta il favorito alla Palma d’oro), Terrence Malick, l’esordiente Ladj Ly e il cinese Diao Yinan, senza menzionare l’evergreen Ken Loach.

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