Il no alla Tav “non è un atto ideologico” ma “una battaglia identitaria del M5s”. Parla così Roberto Fico, a Napoli per un convegno sulla criminalità minorile ospitato dal Circolo Posillipo. Nel corso del quale il presidente della Camera ha fatto un deciso richiamo alle origini del Movimento: “Nel 2005 la prima riunione non del movimento perché non esisteva, ma dei meetup che nascevano fu fatta a Torino – ha raccontato l’esponente pentastellato, grillino della primissima ora – perché quel giorno c’era la grande manifestazione per dire no alla Tav. Eravamo un centinaio di persone, oggi alcuni non ci sono, c’era anche Beppe Grillo. Finì la riunione e andammo tutti alla manifestazione No Tav”.

Una posizione critica rimasta tale anche dopo l’ingresso dei grillini in Parlamento: “La prima uscita pubblica da parlamentari del Movimento 5 Stelle Camera e Senato nel 2013 – prosegue Fico – fu una visita ai cantieri della Tav per comprendere a che punto ci trovavamo, per dire l’ennesimo no documentato e non ideologico alla Tav. Quindi – ha concluso Fico – è una lotta che ha attraversato ogni periodo storico del Movimento 5 Stelle e ogni regione che ha contribuito a far nascere e a far crescere il Movimento”.

“Il no non era una posizione ideologica o per dire no a qualcosa, ma era per dire di cambiare rotta rispetto a delle opere che non servono e non servivano”, ha aggiunto il presidente della Camera, che argomenta con ragioni di carattere tecnico: “Abbiamo visto tutte le relazioni che sono negative. Senza contare che, non solo in Italia, ogni volta purtroppo che un’opera va avanti in un certo modo crescono anche le spese che in questo momento non sono a bilancio”.

La questione ha causato nei giorni scorsi forti fibrillazioni nel governo, ma a chi gli chiede se ci sia il rischio di andare al voto Fico risponde: “Non parlo del voto, la questione del voto non sta mai a me dirla, la legislatura è saldamente in piedi, c’è la nostra Carta costituzionale, la nostra Repubblica e semmai avverrà qualcosa la parola passerà sempre al Presidente della Repubblica, non al presidente della Camera”, ha spiegato l’esponente 5 Stelle, che venerdì al Quirinale a margine della cerimonia dell’8 marzo aveva confermato che nel governo sulla questione è in atto un “muro contro muro“. “In ogni caso si sta andando avanti, i provvedimenti sono agli atti, lunedì si continua il lavoro assolutamente normale”.

Il tema della Tav agita la base del movimento e le voci critiche tra i parlamentari continuano a levarsi: “Noi siamo nati No Tav e moriremo No Tav!”, scrive su Facebook il presidente della commissione Affari Costituzionali e deputato M5S, Giuseppe Brescia, postando un video di una manifestazione in Val di Susa nella quale appoggiava la protesta e la resistenza degli abitanti della valle contro i lavori dell’Alta Velocità. “Siamo entrati nelle istituzioni – ricorda Brescia – grazie ai voti di chi in val di Susa ha resistito tutti questi anni e ora che siamo al governo non possiamo tradirli. Sarebbe immorale, imperdonabile, ingiustificabile”.

Il governo sopravvive o no, è il tema delle ultime ore. “Non penso ci sia una crisi di governo”, ha detto oggi Davide Casaleggio, con il quale si trova d’accordo il ministro dell’Agricoltura, il leghista Gianmarco Centinaio: “Penso che il governo non sia a rischio”. Giancarlo Giorgetti, deus ex machina del Carroccio alla Presidenza del Consiglio dei ministri, avverte in un colloquio con il Corriere della Sera: gli alleati a cinquestelle “sono ciò che noi siamo stati“, cioè “fanno gli errori che facemmo noi quando arrivammo al governo” nel 1994 con Silvio Berlusconi: “E noi allora andammo a sbattere“.

Tra i cinquestelle c’è addirittura chi si azzarda a ipotizzare un “dopo” in caso di fine di questo esecutivo: un’alleanza con il Pd per scongiurare nuove elezioni. “Dopo il 4 marzo non ero, come si crede, una fan di un’alleanza con i dem, ma con il senno di poi mi rendo conto che su alcuni temi importanti, come i diritti, avremmo avuto meno problemi, senza sottovalutare quelli che pure avremmo sofferto”, dice al Quotidiano Nazionale la senatrice dissidente Paola Nugnes. Alla domanda se passare dalla Lega al Pd potrebbe disorientare l’elettorato, la senatrice risponde: “In Parlamento avremmo quattro anni per sovvertire il calo dei consensi. Se, al contrario, cade il governo e si va a elezioni per il Movimento è la fine“.

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