Oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte interviene a Strasburgo, nell’ambito dei periodici dibattiti sul futuro della Ue che vengono organizzati al Parlamento europeo. Il governo italiano non gode di molte simpatie in Europa e questo di per sé non sarebbe grave. Ma soprattutto si è messo volontariamente in una situazione paradossale, simile a quella che gli spagnoli definiscono “il cane dell’ortolano” che non mangia, cioè non riesce a ottenere praticamente nessuna delle cose che pretende nonostante la grancassa mediatica, né lascia mangiare, cioè non partecipa o influenza in alcun modo – se non ogni tanto bloccando qualcosa e mai per troppo tempo – l’agenda europea in settori chiave: dalle migrazioni, al bilancio, alla riforma delle politiche dell’Ue fuori dall’austerità, al commercio, alla spinta a investimenti e imprese, per non parlare naturalmente della politica estera o dell’energia e il clima (nonostante un inizio promettente di cambio deciso rispetto alle posizioni piuttosto “fossili” e poco attive dei governi precedenti su quest’ultimo tema).

Fra le poche cose che Matteo Salvini e Luigi Di Maio condividono c’è sicuramente una mancanza di empatia per il progetto europeo, oltre che una profonda ignoranza su ciò che questo rappresenta, e un nazionalismo superficiale, ma non per questo meno pericoloso. Giuseppe Conte si barcamena fra i due e oggi farà sicuramente lo stesso.

E poiché l’Europa siamo anche noi, diventa davvero urgente in vista delle Elezioni europee esplicitare un’idea, un progetto che tenga insieme l’ambizione di cambiare l’Ue e quella di fare uscire l’Italia dalla cappa di sovranismo inetto e reazionario che pare dominarla oggi. Perché, che ci piaccia o no, anche dal modo in cui l’Ue saprà funzionare (o no) rispetto alle sfide epocali che ci aspettano – dai cambiamenti climatici, alla lotta alle disuguaglianze, alla digitalizzazione, al modo di spendere le risorse e riformare il governo dell’Eurozona, i conflitti ai nostri confini e la costruzione di una società aperta e pacifica – dipenderà la possibilità dell’Italia di riprendere la strada della coesione interna e dello sviluppo economico e sociale.

Insomma, in vista delle elezioni del 26 maggio 2019 c’è bisogno di ridare un volto nuovo e amico all’Europa; e all’Italia l’orgoglio di fare parte di un progetto comune che funziona. E c’è bisogno di uscire dall’illusione che un vago europeismo un po’ di maniera e conformista, unito con la paura di ritrovarsi “isolati”, possa rispondere in modo efficace alla necessità di una riforma profonda delle politiche e del modo di funzionare della Ue che a loro modo Salvini e Di Maio interpretano. Non è scegliendo Francia e Germania (che spesso vanno in direzioni diverse, peraltro) invece che Orban o i gilet gialli che recupereremo un ruolo dentro l’Unione e riusciremo a cambiarla.

Ci vuole un progetto che parli “europeo” e “italiano” allo stesso tempo e si basi su una visione chiara delle priorità e delle cose da fare per l’Europa e per l’Italia in Europa. Per noi ce ne sono almeno tre, urgenti, impellenti, che si intersecano e si combinano:

1. lotta ai cambiamenti climatici;
2. rifiuto di nazionalismo e muri;
3. lotta alle diseguaglianze.

Non si possono rifiutare nazionalismo e muri senza governare il fenomeno delle migrazioni, ristabilendo vie legali di migrazione controllata e rispondendo con regole e risorse adeguate alle preoccupazioni economiche, ma anche culturali di tanta parte degli europei: è ciò che chiedono di fare tanti sindaci e tanti cittadini in tutta Europa e il Parlamento europeo con la sua riforma del regolamento di Dublino.

Non si può uscire dal modello di economia basato sui fossili e sulla contrapposizione fra ambiente e lavoro senza assicurare una transizione equa che tassi chi inquina, chi evade ed elude e accompagni con adeguate risorse questo cambio di modello: come chiedono a gran voce, inascoltati, gli attori economici e i lavoratori della green economy che impiega in Italia tre milioni di persone. E senza un vasto consenso, che sta emergendo ogni giorno di più nelle piazze degli scioperi sul clima in Europa. E piano piano anche in Italia.

Su questo Conte non potrà dire nulla a Strasburgo, perché il suo governo non è solo euroscettico e un po’ razzista, è anche eco-indifferente. Ma l’Italia va ben oltre questo governo. E tra le varie opzioni più o meno credibili in campo, si sta consolidando un’iniziativa che invece queste questioni non le ha solo a cuore, ma sono la sua stessa ragione d’essere. Ci piace pensarla come un’”onda” verde, civica, progressista, che sabato ha lanciato un appello per le Europee di maggio proprio a favore di politiche climatiche efficaci e di una visione dell’Europa solidale e sostenibile, che sta raccogliendo un interesse e appoggio da rappresentanti del mondo della cultura, dell’imprenditoria, dello spettacolo, dell’associazionismo. Un’onda che, anche con l’appoggio della famiglia dei Verdi europei, saprà rappresentare, ne siamo sicuri, un’opzione forte e credibile per gli elettori e le elettrici del 26 maggio.

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