Almeno quattro richieste di aiuto da parte di Gabriele D’Angelo, una delle 29 vittime della valanga che travolse l’hotel Rigopiano. È quanto emerge finora dagli atti dell’inchiesta-bis sulla tragedia del 17 gennaio 2017, nella quale sono indagati l’ex prefetto di Pescara e altri 6 funzionari, accusati di frode in processo penale e depistaggio. E una svolta decisiva all’accertamenti – si scopre ora – è stata data da un servizio di Ezio Cerasi del TgR Abruzzo, andato in onda lo scorso 6 novembre e di cui Ilfattoquotidiano.it diede conto poche ore dopo e dal seguente contributo di un maresciallo dei carabinieri.

Perché da quel momento, 22 mesi dopo la tragedia, si è rimessa in moto la macchina giudiziaria dopo che una nota informativa trasmessa appena 7 giorni dopo il disastro era rimasta “dormiente”. E così più di qualcuno, dopo il lavoro giornalistico dell’azienda pubblica, ha iniziato a ricordare e collaborare con i carabinieri forestali guidati tenente colonnello Annamaria Angelozzi, delegati alle indagini dal procuratore di Pescara, Massimiliano Serpi, e dal pm Andrea Papalia, titolare anche del filone principale già chiuso con l’iscrizione di 25 indagati

Le telefonate, dunque, sarebbero più d’una. Non solo quella appuntata nel brogliaccio ‘dimenticato’ del Centro operativo comunale di Penne e “fuoco” dell’inchiesta. Perché il cameriere dell’hotel Rigopiano avrebbe sollecitato un intervento propedeutico all’evacuazione almeno altre 3 volte prima che la valanga si abbattesse sulla struttura. Telefonate, stando all’indagine, più o meno ‘ufficiali’: D’Angelo, cameriere nella Spa di Rigopiano, era anche volontario della Croce Rossa e quindi aveva sollecitato anche i propri ‘colleghi. La prima volta richiama anche alle 11.21 e – come svelato dal TgR Abruzzo in un servizio in onda oggi (29 dicembre) – risponde il responsabile dei volontari della Croce Rossa.

Ma non è finita. I clienti sono agitati, i dipendenti anche e D’Angelo tenta ancora. Alle 14 prova con un altro volontario, che 47 minuti dopo segnala il tutto alla prefettura di Pescara all’epoca guidata da Francesco Provolo, indagato sia in questo filone che nel principale. In quel momento, come si evince dai documenti, si era già insediato il Posto di coordinamento avanzato del Centro di coordinamento soccorsi che, stando al decreto del prefetto che lo istituiva, doveva essere il supporto più avanzato per i Comuni della zona in difficoltà per l’emergenza neve.

Nell’inchiesta-bis emerge il ruolo di almeno un poliziotto e di un carabiniere. Il primo, quello di un agente della Squadra mobile, che già il 25 gennaio 2017 si ritrova tra le mani il brogliaccio al centro dell’indagine e invia la nota informativa in procura, senza che sortisca alcun effetto. E poi, dopo il servizio del Tgr Abruzzo del 6 novembre scorso, quella di un maresciallo dei carabinieri: due giorni dopo l’approfondimento del servizio pubblico, l’uomo va dagli inquirenti e spiega di essere a conoscenza di un’altra chiamata, quella “fantasma” delle 15, che secondo la procura è stata occultata dalla prefettura.

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