Cinema

Cold War, i raminghi e tormentati amanti di Pawlikowski in un melò che è anche dramma politico

La Guerra fredda e un amore incandescente. Al punto da accendere premi e consensi da ogni angolo del pianeta. Dopo la vittoria come miglior regista a Cannes, con il suo il suo film il regista trionfa agli European Film Awards e il medagliere - di certo - non è ancora completato con la quasi matematica sicurezza di entrare nella cinquina agli Oscar

di Anna Maria Pasetti

La Guerra fredda e un amore incandescente. Al punto da accendere premi e consensi da ogni angolo del pianeta. Dopo la vittoria come miglior regista a Cannes, con il suo Cold War (Zimna Wojna) Pawel Pawlikowski trionfa agli European Film Awards (Miglior film, regia, sceneggiatura, montaggio, attrice protagonista) e il medagliere – di certo – non è ancora completato con la quasi matematica sicurezza di entrare nella cinquina agli Oscar. Come per la giovane novizia Ida nell’eponimo film (Oscar 2014 come miglior film straniero e a scendere una miriade di trofei…) il regista polacco sceglie luci e ombre del bianco & nero per rappresentare la nativa Polonia in uno dei periodi storici più drammatici e controversi. Ma per raccontare il dramma politico – esattamente come aveva fatto in Ida mettendo in scena i tormenti di una giovane donna in attesa di prendere i voti – riscopre la forza espressiva del melò sentimentale, così folle e “passionale” come solo le antiche battaglie belliche potevano essere.

D’altra parte è proprio in contrasto alle asperità della Storia che i sentimenti trovano la loro massima espressione artistica. Alla base dell’amour fou fra Zula (la magnifica attrice Joanna Kulig premiata agli EFA) e Wiktor (Tomasz Kot) è l’ispirazione all’esistenza dei propri genitori che “si prendevano e lasciavano in continuazione ma si adoravano”. Il mondo dei due protagonisti è osservato nel quindicennio fra il 1949 e il 1964: scene e sequenze organizzate in una spirale di capitoli che si accorciano avvicinandosi alla conclusione del film. All’inizio è la desolazione dell’immediato Dopoguerra polacco, alla fine è una nazione paralizzata da Stalin. I due amanti, chiamati a salvarsi reciprocamente da fughe e prigionie a corrente alternata, si muovono raminghi con andate e ritorni tormentati e spesso improvvisi: dall’Est sovietico all’Ovest “libero”, dai canti e balli popolari polacchi al cool jazz della Parigi anni ’60.

La musica, infatti, è il denominatore comune narrativo del racconto, essendo i due protagonisti cantante (lei) e musicista e compositore (lui). E mentre si prendono e lasciano si amano alla follia, arrivando ad agire solo ed esclusivamente in nome di un amore votato all’eternità. Lontano dal biopic, per esplicita dichiarazione dell’autore, Cold War resta fedele alla meccanica agendi dei suoi genitori considerati esemplari di quel periodo, anime disperate e in perenne ricerca di identità. E in tal senso, il testo di Pawlikowski è – come lo era Ida – un poema politico sul concetto di patria che per il regista è molto amplio, rappresentando “una sfera di emozioni e lingue con cui sono cresciuto e che ho bisogno sempre di recuperare avendo vissuto all’estero per quasi tutta la vita. Il concetto di “patria” è un tema sempre aperto nel mio cinema”. Nel suo genere, Cold War esprime la sintesi di un cinema esemplare: teso, struggente e rigorosamente passionale, un ossimoro che si addice all’afflato di libertà laddove viene negata. Il film è in uscita per Lucky Red il 20 dicembre. Non perdetelo.

 

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