Sembrava una boutade. Un atto dimostrativo. Una forma di protesta contro quel governatore così “aperto” alle opposizioni, chiusosi eccessivamente dopo il cosiddetto “patto d’Aula” con i due consiglieri di centrodestra passati al gruppo Misto. E invece, il sassolino della mozione di sfiducia a Nicola Zingaretti si sta trasformando in una specie di tsunami che potrebbe spazzarne via, dopo appena 9 mesi, il secondo mandato da presidente del Lazio e verosimilmente, di conseguenza, anche le velleità di diventare segretario del Pd. Una mozione firmata quasi controvoglia dai consiglieri d’opposizione, i quali in privato ancora ieri maledivano l’ego fuori controllo dei propri capigruppo. Fatto sta che, da presidente blindato e “inattaccabile”, ora zar Nicola rischia addirittura di non mangiare il panettone.

Nostalgia della viarella
Un atto dimostrativo, dicevamo. “Zingaretti è impegnato nella corsa per la segreteria del Pd e ha tradito i suoi elettori, non pensa più alla Regione”, la ragione ufficiale. La scorsa settimana, da un’idea del socialista Stefano Parisi e del fittiano Massimiliano Maselli, i cinque capigruppo (ci sono anche Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega) presentano la mozione di sfiducia. Il retroscena, in realtà, è legato a quella che Sergio Pirozzi, nella sua goliardia montanara, aveva definito la viarella, ovvero il via vai dei consiglieri d’opposizione dagli uffici dei big di maggioranza quando l’anatra zoppa – Zingaretti è stato eletto senza maggioranza – costringeva il governatore a un dialogo costante e ampio con l’opposizione. La viarella finisce quando, a fine luglio scorso, il vicepresidente Massimiliano Smeriglio porta a casa il cosiddetto “patto d’Aula”, con il quale la maggioranza si accorda con due consiglieri d’opposizione in rotta con i rispettivi gruppi, Enrico Cavallari e Giuseppe Cangemi. Iniziano mesi di malcontento. La dialettica politica frena, l’infornata di personale in Giunta ritarda le assunzioni in Consiglio e da destra si inizia a scalpitare. Il vaso trabocca il 31 ottobre, quando Zingaretti nomina il 76enne ex Pdl, Gianni Giacomini – in quota Cangemi – presidente del Parco di Veio. Apriti cielo.

Lombardi sfida i “transfughi”
Da destra vogliono dare un segnale. Così presentano la mozione in cui se la prendono con i due transfughi (che dovrebbero votargliela) e chenon condividono con il M5s. Niente di serio, sembra. Ma il sassolino diventa onda anomala quando il venerdì sera la capogruppo pentastellata, Roberta Lombardi, annuncia: “Voteremo a favore della sfiducia”. Anche se, dice, “sappiamo che quasi sicuramente non passerà, perché attualmente sono proprio due ex consiglieri del centrodestra” a reggere la maggioranza. Della serie: noi la votiamo, ma ti pare che l’approvano? Qui la vicenda sale di livello. Se qualcuno si fosse preso la briga di sentire i due “transfughi” passati al Misto, avrebbe capito che il loro sostegno a Zingaretti non era così scontato. E infatti ieri mattina più di qualcuno ha iniziato a mettersi le mani nei capelli. Perché, seppure off the records, Cangemi fa sapere che voterà la mozione, non essendo mai uscito davvero da Forza Italia – era solo in rotta con il capogruppo Antonello Aurigemma – e trovandosi in accordo con Antonio Tajani. Mentre Cavallari starebbe trattando con Matteo Salvini in persona un rientro nella Lega dalla porta principale. Lo stesso Pirozzi sarebbe pronto per vestire i panni di “top player” nella squadra leghista.

Si cercano i “responsabili”
Lo tsunami sta arrivando e, come per ogni catastrofe imminente, serve una unità di crisi permanente. Già lunedì mattina Nicola Zingaretti ha incaricato il presidente del consiglio regionale Daniele Leodori, il capogruppo Pd Mauro Buschini e il vice-governatore Massimiliano Smeriglio di occuparsi praticamente solo di questo. Anche perché proprio Leodori è stato costretto dalla Lega a convocare una riunione dei capigruppo per giovedì mattina per calendarizzare un consiglio straordinario sui fatti di San Felice Circeo. E’ possibile che già il 13 dicembre possa essere discussa la mozione. Il gruppo regionale del M5s si è riunito per discutere il da farsi. In cambio del voto compatto, Lombardi potrebbe chiedere a Luigi Di Maio una sorta di “dispensa speciale” per far sì che i 9 mesi passati alla Pisana non siano validi come secondo mandato per praticamente tutti i consiglieri. Garantendo a tutti la ricandidatura. A quel punto i democratici dovrebbero ributtarsi uno a uno sul centrodestra.

L’asse nazionale e il fuoco amico
Viste le velleità nazionali di Zingaretti, sulla partita si sono tuffati tutti i principali leader. I rumors indicano in prima fila Matteo Salvini – che vorrebbe prendersi il Lazio come dimostrazione di forza – e Antonio Tajani, i quali stanno già stilando le candidature per le Europee. Ma in partita è anche Luigi Di Maio, impegnato a spezzare il possibile futuro asse fra Nicola e Roberto Fico: quale occasioni migliore? E poi c’è Matteo Renzi, che fino a ieri non aveva più alcun controllo verso i consiglieri del Pd. Certo che, in una situazione del genere, dove conta anche un voto (o una assenza) tutti sono pronti ad alzare il prezzo, alla luce della “scarsa considerazione” nutrita dalla giunta verso il consiglio negli ultimi mesi. Un “mercato delle vacche”, come l’ha definito qualcuno ieri pomeriggio, che potrebbe mettere in crisi anche il miglior Zingaretti.

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