Tempi record di realizzazione per un’opera che segna una nuova, importante tappa del predominio russo nella geopolitica dell’energia. Un traguardo tanto strategico che lunedì scorso Putin è volato ad Istanbul per la cerimonia che segna la costruzione di TurkStream, il nuovo gasdotto che collega Russia e Turchia, un progetto realizzato nonostante difficoltà politiche ed economiche e che rafforza il legame fra i due paesi. Una parte del volume di questo gas è rivolto ai paesi dell’Europa sud-orientale e la competizione si è già accesa per assicurarsi l’approdo finale di questa opera. La sezione marittima del gasdotto TurkStream, lungo circa 930 chilometri, è stata simbolicamente completata proprio lunedì, con la fine dei lavori sulla spiaggia di Kıyıköy sulla costa turca del Mar Nero. I lavori erano stati iniziati da Gazprom soltanto nel maggio 2017 e sono proceduti senza sosta sino ad oggi. Una dimostrazione della capacità del gigante russo di portare a termine opere ingegneristiche di particolare complessità, nonostante le diverse sanzioni applicate da Unione Europea e Stati Uniti. Secondo i costruttori il gasdotto non sarà operativo prima della fine del 2019 ma i tempi della sua realizzazione sono stati addirittura più brevi rispetto quelli inizialmente pianificati.

Per l’occasione Vladimir Putin e il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov si sono personalmente recati nella capitale turca dove in un teatro, gremito di delegati e ospiti, hanno partecipato alle celebrazioni in pompa magna organizzate dal padrone di casa, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Collegato in diretta dalla piattaforma Pioneering Spirit sul Mar Nero è apparso Alexei Miller, il CEO di Gazprom, mentre assisteva alla calata sul fondale dell’ultimo tratto del gasdotto. Il TurkStream è costituito da due condotti paralleli che trasporteranno complessivamente circa 31,5 miliardi di metri cubi di gas, metà dei quali destinati esclusivamente alla Turchia. Un quantitativo tale da assicurare forniture di gas naturale per circa 15 milioni di abitazioni in un paese dalla forte espansione demografica ed economica.

Istanbul è da tempo in cerca di nuove forniture a prezzi vantaggiosi. Il paese soffre un deficit energetico che nel caso del gas naturale raggiunge il 99%. Un volume impressionante che viene annualmente importato da vari stati. La Russia è già il fornitore principale di gas naturale, rappresentando ad oggi circa il 55% dell’intero volume. Grazie al nuovo gasdotto questa percentuale è destinata ad aumentare ulteriormente. L’accordo per la sua costruzione, chiuso fra le compagnie nel dicembre del 2014, risponde da una parte alle necessità della Turchia di assicurarsi nuove quantità di gas attraverso contratti di lunga durata e che rassicurino le richieste dell’industria. Dall’altra Istanbul, grazie al TurkStream, trasforma una fonte di insicurezza in una nuova carta da giocare nella geopolitica dell’energia, sempre più importante nelle relazioni fra stati.

Il paese infatti riceve, attraverso la Trans-Balkan pipeline che origina in Ucraina, circa 14 miliardi di metri cubi di gas annualmente. Con la il nuovo gasdotto il paese diverrebbe, in caso di una nuova contesa fra Kiev e Mosca, totalmente indifferente ad un’eventuale rinfocolare delle “Guerre del gas”. Per di più Istanbul può ora smarcarsi dalla propria dipendenza verso il gas iraniano, il terzo paese per forniture alla Turchia, e colpito di recente dalle sanzioni americane. Una carta che potrebbe tornare molto utile ad esempio sul tavolo negoziale siriano, dove Turchia e Iran hanno interessi contrapposti. Storiche potenze imperiali dagli interessi antitetici nei Balcani, Mar Nero e Caucaso dal diciottesimo secolo in poi, con questo accordo Russia e Turchia segnano probabilmente il punto più alto nelle loro relazioni bilaterali. Venendo ai giorni nostri, soltanto nel 2015 un aereo russo veniva abbattuto dalla contraerea turca al confine siriano, altro teatro di recente contesa fra i due paesi.

“Il TurkStream non sarebbe stato possibile senza la volontà e il coraggio politico di Erdogan” ha chiosato Putin durante la cerimonia. Lo stesso presidente turco durante la cerimonia ha voluto sottolineare come il suo governo non si sia mai piegato alle influenze esterne nel dialogare con Mosca. Un messaggio rivolto in particolare agli Stati Uniti, che nella Turchia hanno uno dei principali alleati NATO. Un rapporto che si è andato incrinando negli ultimi anni e che ha avuto un’escalation negativa nell’era Trump, con Washington arrivata a sanzionare il paese per via dell’incarcerazione del pastore Craig Brunson, accusato di spionaggio e terrorismo. A farne le spese lo scorso agosto la lira turca, crollata del 38% rispetto il dollaro. Dietro a questa tensione vi è una chiara intenzione da parte di Erdogan di allontanarsi dalla storica appartenenza al Patto Atlantico, per ritagliarsi un proprio ruolo indipendente nella regione. Un forte segnale in tal senso era già pervenuto nel 2017, quando l’annuncio dell’acquisto dell’avanzato sistema missilistico russo S-400 era stata data proprio dal presidente turco.

Ora che il TurkStream sta per essere concluso, Mosca cerca di finalizzare un accordo per la seconda metà del gas, quella commercializzata specificatamente per il mercato europeo e che deve essere necessariamente raccolto, vista la legislazione europea, al confine fra Turchia e Grecia. La stessa idea del gasdotto era nata dopo che l’Unione Europea si era opposta politicamente nel 2014 alla costruzione del South Stream, destinato ai mercati balcanici di Bulgaria e Serbia, oltre che Ungheria e Austria. Ora l’opzione principale sul banco appare proprio quella di riproporre una versione ridimensionata dello stesso progetto. Mosca si è spesa molto recentemente per avvicinarsi ai governi di Budapest e Vienna. Quest’ultimo è stato infatti il primo paese ad essere visitato da Putin in Occidente, dopo la sua rielezione per il quarto mandato. I frutti di tale sforzo sembrano aver dato un buon risultato, visto che lo stesso Putin è stato invitato personalmente in agosto al matrimonio del Ministro degli Esteri del nuovo governo viennese Karin Kneissl, suscitando non poche critiche in tutto il continente.

L’unica alternativa alla riedizione della versione “alleggerita” del South Stream è costituita proprio dal nostro paese. I governi di Italia e Grecia hanno infatti firmato un accordo risalente al 2005 a supporto di un progetto formulato da Edison e DEPA (la compagnia di stato greca) chiamato Poseidon. Il gasdotto attraverserebbe l’intero nord della Grecia per poi immergersi nello Ionio per 200 chilometri e spuntare all’estremità meridionale della Puglia. Nel giugno del 2017 un accordo in tal senso era stato firmato a San Pietroburgo dai presidenti di DEPA, Edison e Gazprom. A rappresentare il nostro paese c’era l’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Se questo progetto dovesse essere riattivato dall’attuale esecutivo e trovare una sinergia con il famigerato Tap, l’Italia avrebbe tutte le carte in regole per ambire a diventare il nuovo hub europeo del gas. Un ruolo strategico non soltanto per l’energia ma con importanti risvolti sia in campo economico che politico e di cui Roma potrebbe avvalersi in un prossimo futuro.

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