“Sei una merda”. È il messaggio essenziale contenuto nella lettera anonima recapitata nei giorni scorsi all’avvocato Rosario Di Legami, a Palermo. All’interno c’era un pezzo imbrattato di carta igienica e il mittente indicava solamente il nome di una strada: “Via Scorsone”. Un indirizzo noto sopratutto perché al civico 24 di via Scorsone a Corleone ci abita la famiglia Riina. Proprio per questo le commissarie che amministrano il comune siciliano hanno di recente dedicato quella via a Cesare Terranova, magistrato ucciso da Cosa nostra nel 1979.

Da via Scorsone, reale o evocativo che sia il mittente, arriva questa minaccia ad uno dei più importanti amministratori giudiziari del paese. Di Legami, infatti, gestisce e amministra i circa 500 milioni di beni sequestrati al processo Aemilia alla cosca di ‘ndrangheta legata ai Grande Aracri. Ma anche i 120 milioni di beni sequestrati all’imprenditore di Racalmuto , in provincia di Agrigento, Calogero Romano. Secondo la procura di Palermo, grazie all’appoggio di Cosa nostra ha diversificato le proprie attività: dall’edilizia al calcestruzzo, dalla gestione dell’autodromo Valle dei Templi alla posa della fibra ottica nella Sicilia occidentale. E sempre Di Legami è stato nominato dal prefetto di Vibo Valentia e dall’agenzia anticorruzione commissario per la gestione di tre centri di accoglienza in Calabria che si ospitano 700 migranti richiedenti asilo. Erano in mano a due cooperative che si sospetta essere legate alla ‘ndrangheta, con forniture pilotate e affari milionari.

Da quale di questi fronti è partita la minaccia a Di Legami? L’avvocato ha consegnato la lettera al Gico della Guardia di Finanza che indaga. L’indicazione di via Scorsone rimanda alla dimora dei Riina e può avere un significato altamente simbolico. Di certo il segnale arriva in straordinaria coincidenza con la conclusione del mandato delle tre commissarie di Corleone, con l’intitolazione della via a Terranova, con l’inaugurazione in paese del nuovo asilo nido che porta il nome delle piccole sorelle Caterina e Nadia Nencioni, vittime della strage di via dei Georgofili a Firenze nel 1993.

Ad appoggiare le iniziative che reggono il comune corleonese, tra l’altro, c’è il prefetto Antonella De Miro, che l’amministratore giudiziario Rosario Di Legami definisce oggi “pioniera” anche della rivolta emiliana alle infiltrazioni della ‘ndrangheta durante il suo mandato al vertice della prefettura di Reggio Emilia tra il settembre 2009 e il settembre 2014.  Il 30 marzo 2017, tra l’altro, Di Legami aveva raccontato al processo Aemilia la grande solitudine nella quale venne lasciato quando, in veste di amministratore giudiziario, dovette cercare di rimediare al disastro ambientale e al futuro incerto dei 100 lavoratori della Bianchini Costruzioni srl. Le mire di espansione della ‘ndrangheta lasciarono decine di migliaia di tonnellate di cemento amianto sparse sul territorio e accatastate nei cortili dell’azienda, con l’interessato silenzio di dirigenti pubblici e la copertura di uomini importanti della politica. “Ci rivolgemmo agli Enti Pubblici: comune, provincia, regione, per cercare aiuti economici e capire se fosse possibile utilizzare bandi e fondi europei. Niente. Non ci è arrivato un solo euro, nessuno ci ha aiutato. Abbiamo fatto il possibile per bonificare le terre utilizzando solamente i fondi dell’Amministrazione Giudiziaria”, disse Di Legami in aula.  “Con il sostegno”, aggiunge oggi, “dei giudici del Tribunale di Bologna e della Direzione Distrettuale Antimafia. Seguendo l’esempio del prefetto De Miro”. La lettera minacciosa indirizzata all’avv. Di Legami può avere dunque più di un mittente. E forse può avere anche più di un destinatario.

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