“Bisogna prima capire il sesso della persona e l’età a cui risalgono le ossa prima di fare i titoli e di arrivare alle conclusioni“. Greg Burke, responsabile della Sala Stampa vaticana commenta a ilfattoquotidiano.it la notizia appena battuta dall’Ansa. Si riferisce al caso di Emanuela Orlandi e agli accertamenti che si stanno svolgendo in Vaticano sul rinvenimento di alcune ossa in area extraterritoriale della Santa Sede. Ritrovate proprio all’interno di “un locale annesso alla Nunziatura Apostolica in Italia in via Po 27”, al momento non si sa se possano appartenere a una o più persone. Le indagini si svolgono in collaborazione con la magistratura italiana e la Procura di Roma indaga per omicidio. Nessun fascicolo penale è stato invece aperto in Vaticano, che ha chiesto alla magistratura italiana di occuparsi del caso.

“Durante alcuni lavori di ristrutturazione di un locale annesso alla Nunziatura Apostolica in Italia, sita in Roma, in Via Po 27 – si legge in un comunicato della Santa Sede – sono stati rinvenuti alcuni frammenti ossei umani. Il Corpo della Gendarmeria è prontamente intervenuto sul posto, informando i Superiori della Santa Sede che hanno immediatamente informato le Autorità italiane per le opportune indagini e la necessaria collaborazione nella vicenda. Allo stato attuale il Procuratore Capo di Roma Giuseppe Pignatone ha delegato la Polizia Scientifica e la Squadra Mobile della Questura di Roma al fine di stabilirne l’età, il sesso e la datazione della morte”.

Il lavoro degli inquirenti punta in particolare a verificare se le ossa possano essere compatibili con il Dna di Emanuela Orlandi ma anche di Mirella Gregori, le due minorenni scomparse a Roma nel 1983. In particolare si stanno eseguendo comparazioni sul cranio e sui denti. Allo stato attuale non è ancora certo a che epoca risalgano i resti e se riguardino una sola persona. In passato, spiega ancora l’agenzia, si sarebbero verificati altri episodi analoghi. Da sottolineare però che i riferimenti a Emanuela Orlandi sono speculazioni di queste ore. Le fonti investigative, intanto, mantengono il massimo riserbo in attesa dei rilievi scientifici.

L’edificio del ritrovamento non è Palazzo S. Apollinare, la struttura in cui era stato sepolto anche Renatino De Pedis, il boss della banda della Magliana, che oggi è la sede dell’Università Santa Croce dell’Opus Dei. Al momento nell’edificio non sono in corso lavori di ristrutturazione. Ai tempi dell’esumazione della salma di De Pedis furono controllate alcune ossa trovate nella basilica senza però che ci fosse alcun riscontro sulla loro provenienza.

La storia di Emanuela Orlandi – Trentacinque anni. Tanti sono passati da quel 22 giugno del 1983 quando sparì nel nulla Emanuela Orlandi, figlia quindicenne di un dipendente del Vaticano. Anni di indagini, di illazioni, depistaggi, che hanno portato ad una altalena di speranze e delusioni. Uno dei grandi misteri d’Italia. La famiglia non si è mai arresa. “È un sacrosanto diritto avere verità e giustizia, non ci rinunceremo mai”, aveva detto in occasione dell’ultimo anniversario della scomparsa, il fratello Pietro che, dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Roma, è tornato a chiedere giustizia direttamente al Tribunale Vaticano. E infatti da alcuni mesi la denuncia di scomparsa è di nuovo sui tavoli della Gendarmeria e del Promotore di Giustizia.

La famiglia Orlandi l’aveva presentata per la prima volta un anno fa, lo scorso novembre. Il fascicolo è stato aperto “ma da allora non è stato fatto niente, non è stato interrogato nessuno”, ha denunciato più volte l’avvocato Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi. Che invano ha anche chiesto che venisse sentito il boss mafioso Pippo Calò, oggi 87enne, attualmente detenuto al 41 bis nel carcere di Opera. All’epoca dei fatti, nel 1983, a Roma era un personaggio a conoscenza “di quello che succedeva”, collegato alla banda della Magliana, ritenuta invischiata nella scomparsa della ragazza.

Emanuela Orlandi, che oggi avrebbe cinquant’anni, scompare verso le 19 del 22 giugno 1983, dopo essere uscita da una scuola di musica. La ragazza è la figlia quindicenne di un messo della prefettura della Casa pontificia ed è cittadina del Vaticano. A maggio era già scomparsa un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, coetanea di Emanuela, e i due casi vengono quasi subito collegati. In questi termini – come di “una stessa cosa” – ne parla Ali Agca, l’attentatore del Papa, ma non sono mai emersi elementi concreti che avvalorassero questa pista. Mirella Gregori, figlia dei titolari di un bar di via Volturno, a Roma, studentessa, non conosceva Emanuela Orlandi, né le due ragazze avevano frequentazioni in comune. Mirella scomparve dopo aver detto alla madre che “aveva un appuntamento” presso il monumento al bersagliere di Porta Pia con un vecchio compagno di classe, che peraltro quel pomeriggio era impegnato altrove. Da quel momento la famiglia non ha più avuto notizie della ragazza.

Tornando al caso di Emanuela, quella che sembrava la comune scomparsa di una adolescente si trasforma in un ‘giallo’ internazionale che coinvolge in pieno la Santa Sede. Il presunto rapimento finisce infatti per intrecciarsi anche con l’attentato di Agca contro Wojtyla. Il Papa interviene con diversi appelli. La presenza di Emanuela Orlandi, negli anni, è poi segnalata in diverse località ma le rivelazioni non risultano mai attendibili.

Senza elementi, la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Poi la banda della Magliana, che spesso era stata tirata in ballo nella vicenda, rientra in primo piano a giugno 2008 con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis, uno dei capi della banda. Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa dopo essere stata tenuta prigioniera nei sotterranei di un palazzo vicino all’Ospedale San Camillo. Ma neanche su questa pista emergono prove concrete.

Nulla di fatto neanche dopo le analisi svolte sulle ossa rinvenute nella cripta di Sant’Apollinare, a Roma, nella quale era stato seppellito De Pedis. Nel 2016 l’archiviazione dell’inchiesta da parte della Procura di Roma, confermata dalla Cassazione. Ma la famiglia va avanti, non si arrende. E si rivolge alla magistratura vaticana.

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