L’Alleanza atlantica sfoggia i muscoli nella più grande esercitazione dal 2002. Il teatro scelto è quello dell’Artico, regione di fondamentale importanza strategica per la difesa dell’Europa da possibili attacchi e al centro di una nuova contesa fra le principali potenze globali. Il contingente italiano e il comando Nato di Napoli saranno fra i principali protagonisti dell’imminente operazione. Il nemico non immaginario di Trident Juncture 2018 è l’esercito russo e le manovre sono, almeno in parte, una risposta alle diverse dimostrazioni di forza che Mosca ha voluto recentemente offrire.

L’ammiraglio James G. Foggo a capo della forza congiunta Nato di base a Giugliano in Campania, nell’area metropolitana di Napoli, sarà anche alla guida dell’imminente Trident Juncture 2018, prevista dal 25 ottobre al 7 novembre prossimi. In realtà l’Alleanza ha già da tempo iniziato a muovere le proprie pedine, spostando nei teatri prescelti per l’esercitazione veicoli e truppe. Il 17 ottobre delle unità di US marines sono sbarcate in Islanda, dando di fatto l’inizio alle prime mosse sul campo di quello che sarà l’impiego più massiccio di forze Nato negli ultimi 15 anni.

I numeri dell’esercitazione – Trident Juncture si svolgerà principalmente nel sud-ovest e nella parte centrale della Norvegia, coinvolgendo circa 45mila soldati, una sessantina di navi, circa 150 aerei e 10mila veicoli. A questi andranno aggiunti i circa 6mila soldati e 90 fra elicotteri e aerei a disposizione del gruppo d’attacco della portaerei americana USS Harry S. Truman (nella foto). Era dal 1989 che una simile forza marittima non veniva impiegata dall’Alleanza al largo della Norvegia e l’annuncio della sua partecipazione è stato tenuto segreto sino alla conferenza stampa di presentazione della settimana scorsa. Tutti i 29 Paesi alleati invieranno contingenti militari mentre Svezia e Finlandia collaboreranno come partner esterni. Quello italiano sarà uno dei contingenti principali, circa 1.200 uomini.

L’obiettivo: testare le capacità di risposta – La volontà, ripetuta più volte, è quella di presentare l’operazione (e l’alleanza stessa) come prettamente difensive. La Nato però mira a testare le capacità delle proprie unità di risposta (NRF) e quelle di risposta rapida (VJTF), rafforzate dopo la crisi in Crimea del 2014. In caso di minaccia, queste sarebbero dislocate in tempi rapidi, indicativamente dai due ai cinque giorni, come avanguardia nei teatri a più alto rischio. Fra questi i principali sono i Paesi baltici, Ungheria, Polonia e Slovacchia, dove strutture ed equipaggiamenti sono già stazionati in previsione di un possibile futuro impiego.

L’Italia in primo piano – La direzione di questa forza multinazionale di pronta risposta è affidata a rotazione annuale ai diversi paesi Nato e durante il 2018 è proprio l’Italia a guidarla. La 132a brigata Ariete, una delle principali unità corazzate dell’esercito italiano, cederà il comando ad una forza tedesca nel gennaio 2019. Fino ad allora potrà essere impiegata come reparto avanzato in scenari di conflitto. Non a caso i primi uomini, materiali e veicoli destinati all’operazione norvegese sono arrivati lo scorso 18 agosto a bordo di un vascello della nostra marina, sbarcato a Åndalsnes, sulla costa ovest del paese.

Napoli perno della frontiera Sud della Nato – L’impegno di questa forza e di diversi reparti italiani in teatri come Afghanistan, Kosovo e Lettonia è stata oggetto di elogi da parte del Segretario Generale Nato, Jens Stoltenberg, ripetuti durante l’incontro avvenuto lo scorso 11 giugno a Roma con il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Durante lo stesso vertice la centralità del nostro paese all’interno dell’Alleanza è stata sottolineata anche per l’utilizzo del Comando di Napoli come Hub delle operazioni in Medio Oriente e nel Nord Africa. L’Italia, nei fatti, costituisce il perno della frontiera Sud della Nato, un ruolo tutt’altro che secondario viste anche le vicende libiche e siriane.

L’Artico possibile teatro di future invasioni – È invece evidente come l’occidente veda la regione del Baltico e della Scandinavia come possibile teatro di una futura invasione da nord. Trident Juncture vedrà il movimento di truppe non soltanto sul territorio e acque norvegesi ma una vera e propria cortina armata si estenderà dall’Islanda al Mar Baltico, includendo il Nord Atlantico e gli Stretti danesi.

Le tensioni Usa-Russia – Del resto la tensione fra Washington e Mosca è ben evidente. Risale infatti soltanto a sabato l’annuncio del presidente Donald Trump della volontà di ritirare unilateralmente gli Stati Uniti dal trattato INF. Le tempistiche e motivazioni per attuare questa decisione rimangono quanto meno confuse. Secondo la Casa Bianca il Trattato, siglato nel 1987 fra Gorbaciov e Reagan, sarebbe stato violato dai russi diverse volte. Una decisione, se confermata, che potrebbe segnare una nuova corsa al riarmo nucleare, questa volta però allargato a “nuove potenze”, come ad esempio India e Pakistan.

La visita di Bolton a Mosca – Prontamente il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha chiarito che la Russia non ha mai infranto alcuna clausola dell’INF mentre il ministro della difesa, Sergei Shoigu, ha tenuto a ribadire che Russia e Stati Uniti possono lavorare congiuntamente per risolvere diversi problemi, dalla deterrenza strategica nucleare ai maggiori conflitti in corso. Una girandola di dichiarazioni parallela alla presenza a Mosca del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton. Una visita che assume dunque un significato particolare, anche in vista di Trident Juncture 2018.

Scenari da Guerra Fredda – L’Artico torna dunque, come durante la Guerra Fredda, a rappresentare uno dei teatri plausibili di scontro ed è comprensibile come, anche per la Federazione Russa, questo stia assumendo un’importanza sempre crescente. Nelle ultime settimane la Flotta del Nord, di ritorno dalla mastodontica esercitazione Vostok-2018, si è mossa per diverse operazioni di addestramento proprio nei mari artici. All’inizio di ottobre anche l’aeronautica russa ha deciso di mobilitare diversi bombardieri a lungo raggio nella base di Murmansk, affacciata sul Mare Artico. Risale invece soltanto all’11 ottobre scorso un’estesa mobilitazione di tutte le forze strategiche nucleari russe, dalle basi nella Siberia orientale ai sottomarini dislocati nei mari settentrionali, con lanci simultanei di vettori balistici.

Recenti immagini satellitari mostrano invece come l’esercito stia rafforzando le proprie posizioni sulla Penisola di Kola, a poche decine di chilometri dal confine fra Russia e Norvegia. Queste mostrano con chiarezza decine di bunker di nuova costruzione, capaci di immagazzinare un importante quantitativo di missili convenzionali e testate nucleari.

Twitter: @Frank_Stones

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