Rimettere sul mercato la “roba” dei boss, cioè i beni immobili e le aziende confiscate ai padrini di Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e Sacra corona unita.  A prevederlo è una norma inserita nel dl Salvini, il decreto sicurezza approvato il 24 settembre dal governo. Una legge che riporta d’attualità il dibattito sull’utilizzo dei patrimoni sottratti alle cosche, storicamente legato soprattutto a un interrogativo: rimettendo sul mercato le ricchezze dei clan non si rischia che in qualche modo che i mafiosi riescano a riappropiarsene utilizzando prestanome?

“Troppo rischioso vendere i beni confiscati ai privati. Ci vuole tanto rigore e attenzione, perché i boss provano sempre a riprendersi le proprie ricchezze”, dice don Luigi Ciotti  un’intervista a Repubblica. “E poi – continua il fondatore di Libera – non mi piace che il decreto metta assieme sicurezza, lotta alla mafia e immigrazione. Un’inaccettabile riduzione propagandistica, l’immigrazione non si può ridurre a problema di ordine pubblico, il fenomeno va governato con la lungimiranza della politica perché riguarda i bisogni di milioni di persone”.

Ciotti poi ricorda la storia della normativa sui beni confiscati.  “Fu Libera per prima, nella petizione popolare che nel 1995 raccolse un milione di firme per la legge sull‘uso sociale dei beni confiscati, a prevedere un’ipotesi di vendita. Ma immaginavamo che il ricavato dovesse servire ad alimentare uno speciale fondo istituito presso le prefetture per i progetti sociali. Le aspettative sono andate deluse”, dice il sacerdote. “Appena il 20% dei proventi – aggiunge – va all’Agenzia dei beni confiscati e alle attività sociali, educative e culturali promosse nei beni sottratti alla mafia. La parte maggiore va ai ministeri dell’Interno e della Giustizia. Una linea di tendenza che va modificata, perché – conclude – rischia di venire meno lo spirito della legge: le ricchezze rubate alla comunità devono essere restituite alla comunità”.

Critico con il dl Salvini è anche il pm Catello Maresca che in un’intervista al Fatto Quotidiano dice: “Sul versante della lotta alla mafia manca tutto. Manca totalmente una strategia. Ci sono solo poche disposizioni per migliorare il funzionamento dell’Agenzia per i beni confiscati. Ma anche qui sembra mancare ancora una volta un disegno organico sulla loro destinazione. È inutile scrivere che l’Agenzia potrà vendere i beni, perché – spiega – dopo anni di processo (con la rovina degli immobili) sarà difficile trovare acquirenti a prezzi di mercato. Serve un profondo intervento del Parlamento. Ma la strada del decreto legge non aiuta”.

L’Agenzie per i beni confiscati gestisce al momento più di tremila aziende – attive soprattutto nell’edilizia – è quasi diciottomila immobili. Palermo è la città in cui sorgono più beni confiscati, seguita da Reggio Calabria, Napoli e Milano. Secondo l’ex presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, i patrimoni sottratti ai boss dallo Stato negli ultimi trent’anni hanno un valore di 25 miliardi di euro.

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