Scrive Carlo Marx, nel “Capitale”, che la voracità del capitale, vampiro assetato del sangue vivo del lavoro umano, è tale da non conoscere confini. Se il capitale non viene limitato con le lotte e con le leggi, si prende tutto, fino all’ultima cellula del corpo, fino all’ultimo minuto della giornata lavorativa. Per questo, le lotte di classe sono sempre contestualmente lotte per la limitazione della giornata lavorativa. Ossia lotte per limitare la sacra fames di lavoro vivo da parte del capitale, alambicco mortifero che tutto muta in merce e in sfruttamento.

Addirittura – ce lo ricordano studi recenti – il capitale mira oggi a convertire le ore di sonno in ore di consumo e di lavoro. È questa l’essenza della concretissima barbarie che per convenzione chiamiamo astrattamente capitalismo. Sicché mi pare giusto, sacrosanto e decisivo chiudere i negozi la domenica, in primo luogo i centri commerciali. È marxianamente una forma di limitazione della voracità del capitale no border.

Che non conosce confini né reali, né simbolici. E che aspira a sconfinare in ogni guisa, varcando financo i confini della giornata lavorativa, “ultima Thule” – dice Marx – che esso vorrebbe violare per farne di una due. Voglio rammentare, en passant, che nel “Capitale” Carlo Marx anticipa certe tesi sull’etica protestante del Weber: il capitale vince con la religione protestante, che trasforma i giorni di festa in giorni di lavoro.

Marx non mette tutti d’accordo, è risaputo. Ricorderò, allora, che perfino Iddio – si tramanda – riposò il settimo giorno. Ben sapendo che oltre al dì del lavoro vi è il di’ di festa. Mi rivolgo inoltre ai signori della classe dominante cosmomercatista. Cari nemici di classe, non pronunziate invano la parola lavoro: quello che voi chiamate lavoro è sfruttamento. È “lavoro” alla stregua di quello che i faraoni definivano tale in riferimento allo spostamento dei poderosi blocchi trascinati dagli schiavi. Se non altro le piramidi, simbolo della “religione dell’enigma” (Hegel), ancora durano nella loro somma maestosità. Lo sfruttamento degli odierni schiavi del salario produce per lo più gadget e merci di cattivo gusto, effimeri, coerenti con le brutture della civiltà del tecnocapitalismo.

Sicché – lo ripeto – è giusto e sacrosanto frenare la maligna voracità di carne viva dei lavoratori da parte del capitale deregolamentato. Giusto e sacrosanto riaffermare con vigoria la dignità del lavoro e del lavoratore, in antitesi con l’oggi imperante disumanizzazione dei rapporti umani. Che le sinistre arcobaleno, post-marxiste e market-friendly siano invece a favore del lavoro ventiquattro ore su ventiquattro non desta meraviglia. Esse sono ormai da lustri gli armigeri del mondialismo classista, le docili serve del capitalismo globalizzato e della apolide classe dominante turbofinanziaria. Hanno scavalcato a destra perfino Attila re degli Unni.

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