Oggi Nicolas Hulot, ministro alla Transizione ecologica e solidale, da sempre uno dei più apprezzati del governo francese, ha dato le sue dimissioni durante la trasmissione vedette del mattino di France-Inter, lasciando esterrefatti i due giornalisti che lo stavano intervistando. Hulot ha motivato questa scelta con la necessità di smettere di “mentire a se stesso” dando l’illusione che la sua presenza al governo significasse che si stesse davvero facendo tutto il necessario per rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici: “ho un po’ di influenza ma non il potere”, ha detto.

Dopo le speranze suscitate dal solenne accordo di Parigi, Hulot si è detto deluso dal fatto che la consapevolezza dell’estrema urgenza di affrontare i cambiamenti climatici, cambiando l’economia, l’agricoltura, l’industria si scontra anche in Francia con una pervasiva indifferenza e un potere esorbitante delle lobbies di ogni tipo. E infatti, dopo mesi di “rospi” ingoiati, dai pesticidi al nucleare e al carbone, dopo i tagli alle sue proposte per efficienza energetica e rinnovabili, per i quali è stato sempre Emmanuel Macron a decidere contro di lui, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la presenza ieri ad una riunione sulla nuova legge sulla caccia di un controverso lobbista pro-caccia e pro-armi, vicino al presidente, che non era neppure stato invitato: quando le lobbies arrivano cosi vicino e cosi di frequente a contatto con i circoli del potere si pone “un problema di democrazia” secondo Hulot.

Ha definito le sue dimissioni un’operazione “verità” e ha sostenuto di avere deciso dopo essersi reso conto che stava abituandosi a abbassare il livello delle sue ambizioni e aspettative. Personaggio popolarissimo della Tv, una specie di Piero Angela ecologista dall’eloquio facile e molto efficace, con la sua trasmissione “Ushuaia” aveva contribuito negli anni alla diffusione in Francia di una sensibilità ecologista, o, per meglio dire era riuscito a creare un reale interesse mediatico, e quindi dell’opinione pubblica, rispetto al fatto che è possibile affrontare i cambiamenti climatici in modo energico e positivo; infatti dai tempi di Sarkozy i politici di praticamente tutti i partiti hanno tentato di recuperarlo e sono rimaste famose le foto di tutti i candidati alle presidenziali del 2007, poi vinte da Sarkozy, della firma solenne di un Manifesto per il clima.

Dopo una sfortunata esperienza con i Verdi, che gli preferirono Eva Joly per la candidatura alle Presidenziali nel 2012, Macron era riuscito nell’impresa di nominarlo come uno dei due ministri di Stato, dal rango maggiore dei semplici ministri; Hulot rappresentava un “fiore all’occhiello” rilevante almeno dal punto di vista dell’immagine di modernità e capacità di guardare al futuro; ed è infatti indicativo il fatto che la gran parte dei media francesi prendono queste dimissioni più come un colpo negativo per il governo di Macron che per Hulot. Lungi dall’essere una questione solo francese, le dimissioni di Hulot rivelano la difficoltà dei governi europei e delle forze politiche maggioritarie a prendere decisamente in mano la battaglia per la transizione ecologica e per l’adattamento alle conseguenze dei cambiamenti climatici; conseguenze che sono ormai sempre più evidenti, ma che non riescono a provocare una mobilitazione sufficiente dell’opinione pubblica né l’interesse mediatico, né il consenso necessario a fare muovere gli eletti, né, nonostante l’avanzata indubbia di operatori economici “verdi”, una rivoluzione economica abbastanza veloce.

Queste dimissioni rappresentano percio’ una dichiarazione di solitudine e di debolezza, certo, ma anche una frustata per chi pensa che continuando con un tran tran di piccoli passi timidi e una dichiarazione ogni tanto sia possibile affrontare quella che ormai viene definito come il maggior fattore di rischio globale che abbiamo davanti. Come Hulot stesso ha detto, è sorprendente che gli enormi incendi, la siccità, le inondazioni, lo scioglimento rapidissimo dei ghiacciai, non smuovano più di tanto le coscienze. E come invece questa parte di mondo, l’Europa, avrebbe tutti gli strumenti per rimettersi in carreggiata.

Le case, che oggi producono il 40% delle emissioni, possono essere rese totalmente passive. Il nostro modo di muoverci può davvero cambiare, riorganizzando i trasporti pubblici e rendendo le strade più amichevoli per le biciclette e i treni più numerosi. In alcune zone dell’Italia il 60% dell’acqua viene dispersa, quindi riparando le tubature ed adottando politiche che riducono il consumo di acqua si possono limitare i danni di siccità che saranno sempre più frequenti. E come spiega il rapporto Green Italy della Fondazione Symbola, le imprese che investono in tecnologie verdi sono quelle più innovative e più capaci di assumere ed esportare e l’Italia è la seconda “green economy” dopo la Germania.

Eppure, in Italia molto più che in Francia, questi temi sono da sempre considerati secondari. Sono ancora accompagnati da ironia e disprezzo, basta guardare al dibattito sul tunnel totalmente inutile della Valsusa o alla inaccettabile amalgama fra il crollo del Ponte Morandi e l’assenza di una infrastruttura costosa e portatrice di ancora maggiore traffico su gomma come la Gronda di Genova invece che concentrarsi sul cambio radicale dei trasporti delle merci verso la ferrovia e le vie del mare; o le lamentele contro i costi delle rinnovabili che dimenticano i più ingenti contributi pubblici dannosi per l’ambiente, calcolati dal Ministero dell’Ambiente in oltre 16 miliardi all’anno.

Soltanto agendo su questi due piani, quello dell’allerta nei confronti di un pericolo davvero incombente verso il quale stiamo andando nella più totale e leggera incoscienza, e quello delle risposte che esistono e che devono uscire dalla loro marginalità e diventare la scelta più conveniente per tutti, potremo evitare il peggio. Secondo Nicolas Hulot (e non solo) è una sfida urgente, da vincere nei prossimi dieci anni. Il governo giallo-nero e una parte importante dell’opposizione sono invece concentrati su altri temi, tutti di retroguardia, da un neo-nazionalismo velleitario, all’assistenzialismo statale, alle frontiere e ai muri, all’euro sì o no, alla battaglia per infrastrutture inutili e un’idea di “progresso” fossile. Penso che invece ci sia molta parte dell’opinione pubblica convinta che non si possa garantire un futuro di benessere e equità senza transizione verde e un’Europa di nuovo capace di agire sulla scena internazionale su questi temi: il gesto di Nicolas Hulot vuole smuovere quella parte dell’opinione pubblica, perché come lui stesso dice, non si può essere isolati in questa grande partita. Che spinge ad un’azione molto più efficace e convincente tutti gli ecologisti europei. E italiani.

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