“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Chi non ha mai sbagliato un congiuntivo? Fatta questa premessa non possiamo non soffermarci sulla notizia che tre candidati su quattro al concorso per la scuola dell’infanzia in Friuli Venezia Giulia non sono stati ammessi all’orale a causa degli errori ortografici negli scritti. Di là dei “per evitare che tutto fuoriesce” sono sparite le “acca”, le doppie, la concordanza tra soggetto e verbo e la consecutio. Non solo. I futuri maestri nei loro temi hanno sostituito i “perché” con i “xché” e abbreviato i “comunque” con le tre consonanti “cmq”.

Non ci resta che chiederci: cos’è successo? Gli insegnanti italiani sono davvero asini? Perché siamo di fronte a una generazione sgrammaticata? Chi ha permesso che queste persone arriverebbero (ops, arrivassero) fino al diploma o in alcuni casi alla laurea? Non passi come una difesa della categoria ma va detto che purtroppo non sono solo i docenti a dimenticare i congiuntivi e le doppie. I verbali delle forze dell’ordine sono una via crucis. Davanti alla tv assistiamo a uno stillicidio dell’italiano da parte di conduttori e ospiti. Senza scomodare Antonio Razzi, in parlamento sono numerosi i casi di madornali errori da parte dei nostri politici. Ognuno di noi potrebbe aggiungere una personale lista di “incidenti” grammaticali sentiti sul proprio posto di lavoro. Certo è che si dà per scontato che coloro che si occupano dell’educazione dei bambini sappiano l’italiano. Giusto: quando noi andiamo dal dentista ci aspettiamo che sappia estrarre un dente. Allo stesso modo quando affidiamo un bambino a un maestro vorremmo che sapesse fare il suo mestiere.

Ci resta da capire perché gli italiani (maestri compresi) hanno dimenticato le “acca” e la concordanza tra soggetto e verbo. Tento di dare una risposta che deriva dall’esperienza ed è supportata da qualche dato. L’esercito degli sgrammaticati non ha sul comodino neanche un libro. Meno della metà della popolazione nel nostro Paese legge romanzi, saggi o altro. E per di più la lettura di libri nel tempo libero è in forte calo. Abbiamo perso 3 milioni e 300 mila lettori dal 2010 a oggi. Tra questi vi sono senz’altro molti maestri e professori. In più di dieci anni d’insegnamento ho visto ben pochi docenti arrivare a scuola con un libro che non fosse quello di testo. Penso a un collega che ho visto scrivere “arancie”: il maestro in questione non è mai venuto a scuola con un libro o un quotidiano da prendere in mano durante l’ora buca. Immagino già le critiche a questa mia osservazione: i maestri leggono a casa loro! Speriamo….

Ma c’è un altro dato che la dice lunga sulla questione. Com’è stata utilizzata la carta docente che metteva a disposizione 500 euro per l’aggiornamento degli insegnanti?
Il 77,4% dei fondi a disposizione è stato utilizzato per l’acquisito di hardware e software; a seguire, con il 14,93% dell’importo totale, troviamo l’acquisto di libri e testi, anche in formato digitale; i corsi di formazione e aggiornamento hanno impegnato il 6,6% della somma totale; e infine solo l’1,5% dei fondi disponibili è stato utilizzato per l’acquisto di biglietti per spettacoli teatrali, cinematografici, musei, mostre ed eventi culturali.

Lo scarto tra la prima e la seconda cifra è di 62,47 punti percentuali: un divario da prendere in considerazione. Resta un ultimo punto: nelle scorse settimane ci siamo tutti scandalizzati per l’insegnante che ha scritto “squola” ma ora di fronte a questi dati che arrivano dal Friuli c’è da fare una riflessione seria. Gli errori madornali degli aspiranti maestri sono il frutto di una scuola che ha perso di vista il suo principale obiettivo: fornire ai futuri lavoratori l’ “Abc” necessario. Non solo. Nonostante il nostro sistema d’istruzione sia perennemente monitorato da test come l’Invalsi, il risultato non cambia. Anzi peggiora. Qualcuno dirà che l’ignoranza degli aspiranti docenti è anche la conseguenza di una scuola che promuove tutti.

Può essere, ma vorrei ricordare che alla primaria negli ultimi anni sono stati bocciati 11 mila bambini: troppi! Non è lì che va usata la mannaia perché a quell’età il bambino ha diritto ad avere il suo tempo, a essere sostenuto, a trovare maestri che possano offrirgli se serve anche ciò che non ha trovato nel contesto famigliare o ambientale da cui proviene.

Punterei gli occhi piuttosto sulla scuola secondaria di secondo grado dove alla maturità vengono promossi il 99,5% dei ragazzi. Allo stesso modo guarderei con attenzione al sistema universitario che regala 110 e lode. Mi impressiona, invece, sapere che qualche maestro si permetta una scrittura da social. Un’ultima riflessione: speriamo che al concorso oltre a correggere la grammatica (giustamente) si valutino anche le competenze pedagogiche di chi va in aula. Avere un docente che sa usare i congiuntivi ma non sa insegnarli non servirebbe proprio a nulla.

Articolo Precedente

Come ti smonto le Indicazioni del Miur per una cittadinanza consapevole

next
Articolo Successivo

Brescia, i cacciatori invitati in classe a fare da “maestri”. Animalisti: “Progetto sponsorizzato da industria delle armi”

next