Il 2017 tramonta con un finale a sorpresa: è stato l’anno in cui le donne hanno assestato un bel colpo al muro del silenzio sulle molestie sessuali.

Da pochi giorni, la voce di Salma Hayek si è unita alle numerose voci di denuncia per molestie sessuali rivolte ad Harvey Weinstein, l’ex produttore della Miramax finito lo scorso autunno nell’occhio del ciclone per il comportamento predatorio e vessatorio nei confronti di giovani attrici.

La Hayek ottenne la nomination all’Oscar nel 2003 per l’interpretazione di Frida Khalo, il film che le fece incontrare Weinstein. In un’intervista rilasciata al New York Times e pubblicata su La Stampa, definisce l’ex produttore della Miramax come “il mio mostro” per le violenze psicologiche che le inflisse durante la lavorazione del film. Quella che sembrava la grande occasione di una giovane attrice di talento si rivelò presto un incubo: “Ora sarebbe toccato a me dire di no. No ad aprirgli la porta a tutte le ore della notte. No a fare una doccia con lui. No a guardare mentre mi facevo la doccia. No a lasciare che mi facesse un massaggio. No a lasciare che un amico nudo mi facesse un massaggio”. I no le costarono ritorsioni e un mobbing che si concluse con l’imposizione di girare una scena di nudo ma oggi, dice Salma, “le donne parlano perché in questa nuova era possono farlo”.

La stampa estera ha celebrato la fine del silenzio che garantiva l”impunità maschile su violenze e reati spacciati per “esuberanza della virilità”.

Dieci giorni fa il Time ha scelto come Person of the year proprio il movimento #MeToo dedicando la copertina ad Ashley Judd, Taylor Swift, Susan Fowler, Adama Iwu e Isabel Pascua perché hanno rotto il silenzio sulle molestie e le violenze sessuali. Il Financial Times invece ha invece scelto Susan Flower per aver denunciato le molestie in Uber. I media internazionali hanno incoraggiato le donne a svelare le violenze come non hanno saputo o voluto fare quelli italiani. Anzi si sono sperticati in deprimenti articoli sessisti e privi di contenuti: sul Foglio, Camillo Langone ha paura delle streghe (le Menadi) e si lamenta della fine dell’eros, il suo collega Mattia Ferraresi scrive di guerra contro i maschi e Pier Luigi del Viscovo su Libero teme l’estinzione del genere umano. Altrove si sono screditate le vittime confondendo molestie e avances, ricatti sessuali e corteggiamento, violenze psicologiche e seduzione fino a rivolgere offese alle donne che hanno lanciato le accuse.

Oltre i nostri confini alcuni intoccabili sono finiti nell’occhio del ciclone. Negli Usa dopo Weinstein anche lo chef italo-americano Mario Batali; in Inghilterra, Michael Fallon, ministro della Difesa, membro del partito conservatore e del governo di Theresa May, è finito nella lista di 40 parlamentari che allungavano le mani. In Francia è toccato a Jean Lassalle, ex candidato centrista alle presidenziali francesi. Tanto per fare alcuni nomi. A casa nostra invece la valanga di rivelazioni che ha abbattuto il silenzio ha incontrato molte più resistenze. Ma il movimento #MeToo e #QuellaVoltaChe è stato un elemento di rottura anche nel nostro Paese: dopo le accuse che Asia Argento ha rivolto a Weinstein, alcune aspiranti attrici hanno accusato il regista Fausto Brizzi. Le voci delle donne non si fermano anche in Italia, nonostante tutto.

In questo contesto Bianca Berlinguer, il 12 dicembre scorso, ha ospitato Asia Argento a #CartaBianca per un faccia a faccia con chi l’aveva attaccata sui social e sui giornali. L’attrice italiana è stata messa ancora sotto processo per il comportamento che ha tenuto prima, dopo e durante la violenza con le solite dinamiche di colpevolizzazione. In studio Vladimir Luxuria e Pietro Senaldi, direttore di Libero le hanno rivolto le solite accuse, rimestando sbobba sessista e pregiudizi che il garbo di Andrea Scanzi, l’unico ad esprimere riflessioni sensate, non è stato in grado di arginare.

Non c’è stato spazio per un approfondimento su dati statistici e sul sommerso, sulle leggi tutelano chi è vittima di molestie sul lavoro, sulle dinamiche della violenza. A parte qualche carrellata su vergognosi titoli di giornale comparati con quelli di testate straniere non c’è stata una adeguata analisi sul livello culturale di un Paese che si è distinto col pessimo esempio del machismo di troppi direttori di testate. Tutto si è ridotto a una tifoseria pro o contro Asia Argento, riproponendo tutto ciò che era già avvenuto sui social e sulla stampa senza superare lo schema dettato dal pregiudizio.

Dobbiamo domandarci se il programma #CartaBianca abbia reso un buon servizio all’informazione sul fenomeno delle molestie sessuali. A me la risposta pare scontata: no.

@nadiesdaa

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