Nessuno dei suoi colleghi italiani o statunitensi ha scontato un solo giorno per il sequestro dell’imam di Milano Abu Omar. I primi perché prosciolti grazie allo scudo imposto dai vari governi con il segreto di Stato, gli altri perché di loro si sono perse le tracce come della richiesta di estradizione. L’unica a pagare è lei. Sabrina De Sousa, dopo essere stata a fatica estradata dal Portogallo, sconterà i tre anni di pena residua facendo volontariato in una onlus che si occupa di minorenni in provincia di Roma. L’ex agente Cia, 61 anni, arrestata nel 2015 in Portogallo in seguito ad un mandato d’arresto europeo dopo la condanna definitiva per il rapimento di Abu Omar avvenuto a Milano nel 2003, in una intervista la Fattoquotidiano.it piegò come l’ok alla rendition di Abu Omar – tra l’altro indagato dalla stessa procura di Milano per terrorismo – fosse stato dato dalla Casa Bianca, con il via libera di Roma e dell’Egitto dove l’uomo incarcerato.

Il Tribunale di Sorveglianza del capoluogo lombardo ha così accolto la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali presentata dal suo legale, l’avvocato Dario Bolognesi, a cui aveva dato parere favorevole anche il sostituto pg Antonio Lamanna. De Sousa, che ha sempre respinto le accuse, era stata condannata, assieme ad altri ventidue ‘007’ americani (nessuno ha mai scontato la pena in Italia), a 7 anni di carcere, 3 dei quali coperti da indulto, e lo scorso febbraio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella le ha concesso la grazia parziale di un anno. Con la pena residua di tre anni De Sousa, che si è trasferita a Roma col marito, ha potuto chiedere e ottenere l’affidamento.

Osama Hassan Mustafa Nasr – questo il nome di Abu Omar –  fu portato via da un commando della Cia il 17 febbraio 2003 con l’aiuto di un maresciallo del Ros perché ritenuto pericoloso. L’egiziano fu portato via Germania in Egitto e consegnato alle autorità de Il Cairo dove fu torturato e per questo l’Italia è stata condannato dalla Cedu a risarcirlo. La motivazione di quel verdetto chiarì una volta per tutte che lo scudo, innalzato dai tutti i governi degli ultimi anni con il segreto di Stato, aveva garantito l’impunità dei responsabili. In Italia i processi infatti si sono risolti con il non luogo a proceder. E così che gli 007 dell’allora Sismi ne sono usciti indenni. E chi è stato condannato, ovvero gli agenti statunitensi che lo prelevarono e lo consegnarono all’Egitto, non sconterà mai la pena. Alcuni sono stati nel tempo graziati da Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, per gli altri non è addirittura andata avanti la richiesta di mandato di arresto internazionale.

Su questo caso la cronaca giudiziaria ha dovuto registrare anche uno scontro dialettico tra Cassazione e Corte Costituzionale. Gli ermellini, nelle motivazioni del proscioglimento “ineludibile” dei vertici del Sismi, scrivevano nero su bianco che – abbassando il “nero sipario” del segreto di Stato, esteso a dismisura sull’allora servizio segreto – la Consulta aveva abbattuto in radice ogni possibile controllo della magistratura sul potere di segretazione consegnandolo alla discrezionalità della politica. La suprema Corte era stata di fatto costretta a prosciogliere i vertici del Sismi. Solo per “lealtà” istituzionale – avevano ammesso i magistrati – era stato preso atto della “dirompente” e “lacerante” decisione della Consulta. Che aveva “inaspettatamente” tracciato “quell’ampio perimetro” di immunità. Che quindi Strasburgo ci ha rinfacciato condannando l’Italia a risarcire Abu Omar.

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