Sala d’Ercole, il parlamento siciliano

Superate le alchimie politiche, spenti i flash di stampa e opinione pubblica, però un governatore – qualsiasi esso sia – dovrà salire i gradini che lo portano a Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione, e da qui rincorrere per cinque anni ogni tipo di caotica emergenza isolana. Lo splendido palazzo che ospita la sede del governatore esiste dal 1775 ma porta l’attuale nome solo dal 1808, l’anno in cui ospitò Luigi Filippo d’Orleans, futuro re di Francia ma in quel momento in esilio. Un particolare curioso visto che i precedenti recenti dimostrano come ancora oggi l’inquilino di Palazzo d’Orleans sembra essere perseguitato da una sorta maledizione: chi riesce ad entrarci da governatore è poi destinato a vivere tempi cupi. Totò Cuffaro concluse in galera il suo doppio mandato (in realtà interrotto in anticipo dopo la condanna in primo grado), il suo successore Raffaele Lombardo si dimise pure lui in anticipo per cercare di allentare la tensione di un’inchiesta per concorso esterno a Cosa nostra. Rosario Crocetta, invece, è riuscito a tenere lontane le ombre di mafiosità che sull’isola tutto intaccano e tutto confondono: un primato che non è bastato a lasciare ai posteri un buon ricordo del suo governo. D’altra parte i primi a sfilarsi dall’ex sindaco di Gela sono stati i dirigenti del suo stesso partito, il Pd: non lo hanno ricandidato e oggi la carriera politica di Crocetta – escluso pure dalle liste per un posto in Assemblea regionale siciliana –  è più sbiadita che mai.

Dare un giudizio definitivo sugli ultimi cinque anni di amministrazione dell’isola è infatti prematuro: qui, più che altrove, i tempi della gestione della cosa pubblica si allungano a dismisura. Restano nero su bianco, però, quelle che dovevano essere le riforme fondamentali del governo Crocetta e che invece si sono risolte con un gigantesco nulla di fatto. Prima tra tutte: l’ormai mitica abolizione delle province, promessa dal governatore uscente addirittura in diretta televisiva subito dopo la sua elezione. Quasi un lustro di riforme pasticciate, approvate a metà e poi cancellate, hanno avuto un unico risultato: aprire una voragine da 200 milioni nei conti degli enti intermedi, che una legge poi disconosciuta dal suo stesso estensore – cioè sempre Crocetta – aveva ribattezzato “liberi consorzi tra comuni”. Delle vere e proprie entità fantasma, senza elezioni ma anche senza veri amministratori visto che Crocetta le ha affidate per quattro anni a commissari nominati da lui stesso. Una situazione d’impasse che pochi mesi fa è stata risolta nel più classico dei modi: il ritorno al passato. Con uno dei più classici blitz privi di mandante, infatti, quest’estate il Parlamentino siciliano ha deciso di fare come Gesù Cristo con Lazzaro: in Sicilia non solo tornano le province, ma tornano anche le elezioni per le province. Al prossimo governo il compito di capire come risanare i buchi di bilancio che si sono creati nel frattempo nei liberi consorzi. “Hanno risentito particolarmente i servizi per i disabili e quelli di supporto alle scuole di secondo grado; nei casi più gravi, si segnalano situazioni di notevole arretrato nel pagamento degli stipendi”, scriveva a giugno la sezione di controllo della corte dei Conti, come ricordava livesicilia.it. Il bello è che mentre Crocetta ha convocato nuove elezioni per l’inizio del 2018, il consiglio dei ministri ha impugnato la norma resuscita-enti perché incostituzionale: un successo.

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