Dovevano essere cancellate nel 2013 e la Sicilia – con la Sardegna – sembrava destinata a essere la prima regione d’Italia ad eliminare gli enti che più di tutti erano diventati simbolo d’inutile spreco. Dovevano essere abolite e trasformate in virtuosissimi consorzi tra Comuni, così come previsto persino dal nobile e intoccabile Statuto autonomo. Invece a Cagliari l’abolizione è diventata una “trasformazione” in “mini-città metropolitane” o “reti urbane”. Mentre la Regione Siciliana non è ancora riuscita a sopprimere le sue nove Province regionali. Niente da fare: mentre nel resto d’Italia la riforma varata dal ministro Graziano Delrio è già operativa da mesi (anche se tra mille difficoltà), sull’isola le tanto vituperate province non si riesce proprio ad ammazzarle. Anzi peggio: perché la legge voluta a suo tempo dal governatore Rosario Crocetta (diversa dal ddl Delrio) ha avuto, fino ad oggi, un duplice e deleterio effetto. Da una parte gli enti intermedi sono stati effettivamente trasformati in liberi consorzi tra Comuni, almeno sulla carta; dall’altra, però, la norma che completava la soppressione delle Province (indicando compiti e strutture amministrative) è stata prima bocciata dall’Assemblea regionale siciliana, e poi definitivamente impugnata dal consiglio dei ministri. Risultato: dal 2013 gli enti ibridi (a metà, appunto, tra le vecchie Province e i nuovi consorzi) navigano a vista, amministrati da commissari straordinari con incarichi mensili prorogati di volta in volta dallo stesso Crocetta. E dato che domani pomeriggio l’assemblea siciliana torna a riunirsi per discutere del ddl sui liberi consorzi, una domanda è d’obbligo: riusciranno finalmente i 90 onorevoli di Sicilia a cancellare la parola provincia dalla carta geografica dell’isola?

Una situazione precaria che diventa tragica se si mette mano ai bilanci: all’ultima conta, infatti, il disavanzo degli enti intermedi ha raggiunto quota 180 milioni di euro. È per questo motivo che i 6mila dipendenti delle ex Province sono sul piede di guerra, mentre da settimane gli enti intermedi hanno dovuto sospendere alcuni servizi fondamentali: si va dal trasporto per i portatori d’handicap all’assistenza scolastica per gli alunni disabili. E il futuro è tutt’altro che roseo. “Se siamo riusciti a superare il 2015 è stato soltanto dovuto al fatto che c’è stata una deroga sul bilancio che ci ha permesso di utilizzare un avanzo di amministrazione, ma per il 2016, purtroppo, queste possibilità non ci saranno”, dice Luisa Lantieri, assessore alle Autonomie locali del governo Crocetta.

Come dire che, se non si mette una pezza nel più breve tempo possibile, il default è praticamente dietro l’angolo. “Il disavanzo emerso nei conti dei liberi consorzi è tra i 150 e i 180 milioni di euro, in pratica una cifra che corrisponde al contributo alla finanza pubblica chiesto dallo Stato alle ex province”, spiega Alessandro Baccei, il tecnico inviato da Roma per occupare la poltrona di assessore al Bilancio. Una soluzione potrebbe dunque essere rappresentata dall’azzeramento dei crediti vantati dal governo centrale? Baccei allarga le braccia: “Non si può pensare che lo Stato si faccia carico del contributo richiesto alle ex Province siciliane, perché si ritroverebbe con un buco nel bilancio di 180 milioni. Dallo Stato ci aspettiamo però che ci venga incontro sulla mobilità dei dipendenti e sull’utilizzo degli avanzi di amministrazione”. Al netto dei debiti, rimane in ogni caso irrisolto il rebus fondamentale: come e quando si potranno definitivamente abolire le redivive Province siciliane? Dopo l’impugnativa delle legge Crocetta da parte del governo centrale, l’Ars ha deciso di gettare la spugna, rinunciando ad una legge tutta siciliana per recepire quasi interamente il ddl Delrio.

Tutto bene dunque? Neanche per idea. Perché dopo mesi di stasi, la questione è approdata a Palazzo dei Normanni il 22 marzo: dopo aver ascoltato gli interventi di Baccei e della Lantieri, i 90 onorevoli siciliani hanno rinviato per l’ennesima volta la discussione alla settimana prossima, dopo la pausa dovuta alle feste di Pasqua. “Troviamo vergognoso quest’ennesimo rinvio dovuto a questioni politiche che non tengono conto del personale e delle esigenze dei cittadini”, attacca Gigi Caracausi della Cisl Funzione Pubblica. Già, perché l’ultimo rinvio della legge sull’abolizione delle province è dovuto ad un particolare tutt’altro che fondamentale: ovvero le modalità di elezione dei sindaci delle città metropolitane. Contrariamente alla legge Delrio, infatti, in Sicilia si spinge affinché non sia automatico che il sindaco del capoluogo (Palermo, Catania, Messina) diventi anche sindaco della città metropolitana. Un escamotage che in molti leggono come uno sgarbo di Crocetta a Leoluca Orlando ed Enzo Bianco, sindaci di Palermo e Catania. Nel frattempo, dall’intervento in diretta tv su Rai1 da Massimo Giletti, in cui il governatore annunciò urbi et orbi l’imminente abolizione delle province siciliane sono trascorsi tre anni esatti: mille giorni, due leggi pasticcio, i bilanci in rosso, ma gli enti intermedi sono ancora qui.

Articolo Precedente

Giulio Regeni: interessi in cambio di verità, è questo il baratto che ci salverà?

next
Articolo Successivo

Abolizione Province, il referendum tradito della Sardegna: dopo 4 anni commissari, consorzi di Comuni e battaglie per i fondi

next