Cinema

Film in uscita al cinema, cosa vedere (e non) nel fine settimana del 30 settembre

MOTHER! di Darren Aronofsky, L’INTRUSA di Leonardo Di Costanzo, ALIBI.COM di Philippe Lacheau, L’INCREDIBILE VITA DI NORMAN di Joseph Cedar, UNA FAMIGLIA di Sebastiano Riso, CHI M’HA VISTO? di Alessandro Pondi: anticipazioni e recensioni

di Anna Maria Pasetti e Davide Turrini

L’INCREDIBILE VITA DI NORMAN di Joseph Cedar, con Richard Gere, Michael Sheen, Steve Buscemi. USA 2017. Durata: 118’. Voto 2,5/5 (AMP)

Fixer in inglese significa “colui che aggiusta le cose”, tanto in senso tecnico quanto figurato. L’accezione contemporanea ha legato il termine anche una professione ormai ufficiale, il faccendiere, che però immediatamente evoca dalle nostre parti un’attività poco definita, tendenzialmente losca. È tale deviazione negativa che fa apparire il fixer/faccendiere Norman Oppenheimer, fondatore e presidente delle Oppenheimer Strategies, sotto una luce meno benevola rispetto a quanto probabilmente non riceva in madrepatria, la New York ebraica in cui sono intessute le sue reti di contatti e di “faccende”. Egli sbuca dal nulla e nel nulla – verosimilmente – finisce, lasciando tracce anonime di profondo e “positivo” significato, specie in termini di politica e società ebraiche. È evidente che la pratica sopra descritta non sia del tutto estranea alla cultura giudaica, ontologicamente intrisa di labirinti ermeneutici per aggirare un simbolismo occulto e volutamente secretato.

Il fixer ebreo dal volto rassicurante di un Richard Gere mai tanto bravo, sembra infatti complicare faccende già complesse invece che “aggiustarle”, o meglio, le aggiusta alla maniera più contorta e genuina possibile. È forse questo l’aspetto più empatico che potrà attrarre lo spettatore italiano rispetto al quinto lungometraggio dell’israeliano Joseph Cedar, il suo primo in lingua inglese. Cineasta coltissimo, filosofo e soldato, Cedar sa di cui parla e per questo la forma cinematografica da lui utilizzata non scade mai nella banalità. Il problema di questa sua nuova fatica rispetto ai luminosi Beaufort (2007, Orso d’argento a Berlino) e Footnote (2011, miglior sceneggiatura a Cannes) è un certo smarrimento ritmico nella messa-in-passo del film che presenta cadute drammaturgiche di non poco conto rispetto a dei contenuti (pre)potenti. Se nelle opere precedenti a emergere era il Verbo nel senso ebraico del termine, in Norman la parola tenta di lasciare spazio ai silenzi, agli occhi di Gere smarriti nel nonsense politico: ciò sarebbe perfetto se fosse sostenuto da maggior convinzione a tutti i livelli, dalla sceneggiatura al montaggio finale.

Film in uscita al cinema, cosa vedere (e non) nel fine settimana del 30 settembre - 5/7
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