di Monica Di Sisto*

Si voterà il 25 luglio: il governo ha forzato la calendarizzazione del Ceta. Lo ha fatto nonostante le proteste che si moltiplicano in tutta Italia, le prese di posizione contrarie da parte di organizzazioni di produttori, sindacali, della società civile, le numerose voci di dissenso che ormai emergono anche all’interno della maggioranza parlamentare, a un paio di sedute dall’interruzione estiva dei lavori. Il discutibile accordo di liberalizzazione degli scambi e degli investimenti tra Europa e Canada arriverà, così, nell’emiciclo di palazzo Madama in piena estate, nonostante il trattato sia fatto così male e frettolosamente che non riuscirà a entrare in vigore in via provvisoria, come previsto, entro l’estate, ma potrebbe portare i primi prodotti e servizi a varcare l’Atlantico addirittura nel 2018.

Potrebbe non essere questo, dunque, il Parlamento, a constatare davvero la convenienza o meno del Ceta. Oltre allo stop dato dai canadesi alla quota aggiuntiva di 18mila tonnellate di formaggi da importare dall’Europa, ridiretto, nonostante le proteste dei diplomatici europei, per il 60% ai produttori nazionali, e all’accordo di libera circolazione delle merci tra le province del Canada ancora non chiuso, che non permetterebbe, al momento, la distribuzione di uno spillo in più all’interno di quel Paese è spuntato qualche giorno fa dalle carte chiuse in fretta e in furia un altro nodo. E riguarda i farmaci generici.

Quando l’accordo fu chiuso, nel 2015, la Canadian generic pharmaceutical association disse di aver ricevuto “garanzie scritte” da parte del proprio governo sul fatto che una compagnia farmaceutica non avrebbe potuto aprire più volte una causa per contestare la trasformazione in generico di uno stesso brevetto. Ma nel testo del Ceta questo non c’è scritto. E ciò ha innervosito i produttori europei di farmaci che temono di essere messi in condizione di svantaggio rispetto ai propri omologhi canadesi. Cosa che sarebbe possibile.

“Noi ci assicureremo sempre di proteggere gli interessi del Canada e staremo dalla parte di ciò che porterà benefici economici ai nostri cittadini e alle nostre imprese”, ha assicurato il premier canadese Justin Trudeau all’incontro del Liberal caucus. E mentre gli orizzonti restano così incerti, la maggioranza di governo sostenuta da Pd e Forza Italia forza la decisione al buio del Parlamento italiano.

Dopo il presidio promosso il 27 giugno al Pantheon da un’ampia coalizione che ha visto la Campagna Stop Ttip italiana, insieme a Coldiretti, Cgil, Arci, Adusbef, Movimento consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food, Federconsumatori, Acli terra e Fair watch contestare il primo via libera al Ceta della commissione Affari esteri del Senato, oggi la stessa coalizione promuove una mobilitazione più ampia in piazza Montecitorio per chiedere che questa corsa verso un trattato sbagliato si fermi.

Dai territori, in questi giorni, si sono moltiplicate le voci di dissenso che si sono affiancate a quelle del M5s, di Sinistra Italia, di Fdi, Gal che hanno retto il fronte del “no” al primo voto, e Prc e Altra europa fuori dall’emiciclo. Basti pensare che 15 Comuni della Marca trevigiana hanno approvato mozioni contrarie alla ratifica del Ceta: “Sosteniamo questa iniziativa contro il Ceta a difesa delle eccellenze agroalimentari del nostro territorio”, hanno dichiarato il capogruppo del Partito Democratico Stefano Fracasso e il consigliere Graziano Azzalin della regione Veneto dopo il posizionamento chiaro del presidente della Regione Veneto Luca Zaia contro il trattato.

La giunta regionale delle Marche ha approvato con urgenza un ordine del giorno che chiede al governo e a Parlamento di ponderare “più approfonditamente i rischi per il settore agricolo e agroalimentare, regionale e nazionale, derivanti dalla ratifica del Ceta”. La Lega ha annunciato che presto al coro delle preoccupazioni si unirà quello della Regione Lombardia, mentre il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti twittava: “Il Lazio dice No a Ceta. Chiediamo a Parlamento di fare lo stesso, difendiamo nostri produttori e sapori da commercio ingiusto senza regole”.

Per sostenere la mobilitazione permanente e mettere sotto pressione i senatori chiedendo loro di rinviare il voto e di riaprire una discussione in Europa sugli strumenti migliori per sostenere un futuro diverso al nostro Paese, si intensifica la mobilitazione online. Sul sito della campagna Stop Ttip Italia ci sono gli indirizzi email, le pagine Facebook e gli account Twitter ai quali da oggi è possibile scrivere e promuovere pressioni social contro questo blitz di mezza estate, oltre a approfondire il perché sia così urgente sventarlo.

*portavoce della campagna Stop TTIP Italia

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