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Il divario Nord-Sud aumenta, ma nessuno fa mea culpa

Il divario Nord-Sud aumenta, ma nessuno fa mea culpa
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Eccepiscono, cavillano, rilevano, censurano. Mai un mea culpa. Abbiamo alle spalle un abaco magistrale di errori giganteschi nelle politiche di coesione tra Nord e Sud: un pittore al buio avrebbe decisamente fatto di meglio. Eppure, davanti alle telecamere, nessuno si è mai lanciato in una sia pur contenuta ammissione di colpa: è vero, abbiamo contribuito anche noi allo sfacelo.

No, anzi: quegli stessi personaggi relazionano persino in convegni per il rilancio del Mezzogiorno. Grazie al cielo ci sono anche istituti di statistica e centri studi liberi che non piegano docilmente la cervice raccontando le magnifiche sorti e progressive del principe di turno.

L’Ufficio studi Cgia – Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre ha pubblicato uno studio dal quale emerge l’ulteriore accentuazione del divario tra Nord e Sud del Paese. Un’occhiata ai numeri: il Pil pro capite ha visto crescere il gap da 14.255 € a 14.905 €; le performance peggiori in Campania e Molise. In lieve controtendenza Puglia (+0,9%) e Basilicata (+0,6%). Il divario del tasso di occupazione tra Nord e Sud è passato dal 20,1% al 22,5%. Aumenta il tasso di disoccupazione: in Sicilia dell’11,2%, in Campania e Sicilia del 9,2%.

Con riferimento, infine, alla povertà e all’esclusione sociale, cito direttamente la sintesi della Cgia di Mestre: “Anche in materia di esclusione sociale, infine, la situazione è peggiorata. Se nel 2007 la percentuale di popolazione a rischio povertà nel Sud era al 42,7 per cento, nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) è salita al 46,4 per cento. In pratica, quasi un meridionale su due si trova in gravi difficoltà economiche. Al Nord, invece, la soglia di povertà è passata dal 16 al 17,4 per cento. Il gap, pertanto, tra le due ripartizioni geografiche è aumentato in questi 8 anni di 2,2 punti percentuali”.

Infine, uno studio della Commissione europea (Anticorp) sulla qualità dei servizi pubblici, l’imparzialità della somministrazione e il livello di corruzione, condotto in 206 regioni d’Europa, vede ben sette regioni del Sud tra le ultime 30 posizioni: la Sardegna (178° posto), la Basilicata (182° posto), la Sicilia (185° posto), la Puglia (188° posto), il Molise (191° posto), la Calabria (193° posto) e la Campania (202° posto).

A commento di simili dati, viene sottolineata la necessità di guardare al Mezzogiorno perché “ha delle potenzialità straordinarie ed è in grado di contribuire al rilancio dell’intera economia del Paese” e quella di “tornare a investire per ammodernare questa parte del Paese che, purtroppo, presenta ancora oggi delle forti sacche di disagio sociale e di degrado ambientale che alimentano il potere e la presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso”.

Cose che su questa pagina e non solo sosteniamo da molto tempo. Viene anche detto che bisognerebbe portare a compimento la riforma del federalismo fiscale. A mio modesto avviso bisognerebbe prima capire come si possano garantire i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” o Lep (art. 117, lett. m della Costituzione) per tutti i cittadini, come sancisce la Costituzione riformata in senso federalista, senza avere a disposizione i fondi per farlo.

Come osserva lucidamente Adriano Giannola in Sud d’Italia. Una risorsa per la ripresa, (Salerno editore, 2015) “è plausibile immaginare che una corretta imputazione di costi possa condurre a un livello di fabbisogno finanziario del tutto incompatibile per l’esercizio finanziario complessivo”. Insomma, dobbiamo prepararci al federalismo all’italiana 2.0, poi 3.0, poi 4.0. Ma un mea culpa, quando?

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