In Puglia c’è un museo nazionale che stacca una manciata di biglietti al giorno e in un anno di esercizio incassa 13mila euro. Per tenerlo in piedi lo Stato ne spende 531mila, cioè quasi 41 volte tanto. Diciamolo subito: deve restare lì dov’è dal 1977, nel monumentale Castello di Gioia del Colle, col suo splendido vaso corinzio del VI secolo a. C. che raffigura l’uccisione del pittore Memnone per mano d’Achille. Considerando che si espongono quadri, statue, fontane e vasi non per far fare soldi ma per conservare e condividere il patrimonio e che i beneficiari d’ingressi gratuiti sono soprattutto bambini e scolaresche.

In queste ore si parla di musei per la sentenza del Tar sulle nomine di alcuni direttori. E tuttavia è da sempre un tallone d’Achille per l’Italia intera l’incapacità di promuovere e gestire al meglio i propri gioielli d’arte. Ognuno, su e giù per lo Stivale, può farne esperienza diretta ma d’ora in poi sarà più facile capire esattamente dove le cose funzionano e dove no. Merito di un progetto del Mibact e dall’associazione Civicum che hanno messo a quadro i bilanci di 26 musei accantonando rendiconti gestionali illeggibili in favore di quelli economici integrati (Rei), cioè standardizzati, che consentono una lettura immediata delle poste in entrata e in uscita, con l’obiettivo finale di mettere in luce performance e modalità gestionali. Più maliziosamente anche i “supersussidiati” e quelli che invece sanno ben valorizzare i gioielli che espongono, riuscendo anche a costare meno al contribuente. In poche parole: merito e trasparenza. Un bel passo avanti, visto che fino alla recente riforma del sistema museale italiano – come ha ricordato il ministro Dario Franceschini – i musei statali non avevano neppure un proprio bilancio. Strano ma vero. E il futuro sarà l’estensione del modello Rei a 450 tra musei e poli museali. Far fruttare di più il patrimonio per alleggerirne il costo è il tema, diventato  ineludibile anche grazie un’inchiesta di Gian Antonio Stella che certificava come il Louvre da solo guadagnasse più di tutti i musei d’Italia messi insieme.

I primi bilanci integrati
Intanto l’esperimento consegna i primi risultati significativi. Sotto la lente sono finiti 26 campioni, tra Pinacoteca di Brera, Gallerie Estensi, Galleria Borghese e i siti dei due Poli Regionali di Umbria e di Puglia. Ci sono il “Preventivo definitivo 2016” e il “Preventivo 2017”. Numeri a confronto. Da un lato “Ricavi”, dall’altro i “Costi”. Entrambi con il dettaglio delle voci che si traducono in cifre da analizzare, senza fermarsi al solo risultato finale. Insomma al bilancio. Partiamo dai buoni numeri. Tra i “ricavi attesi da biglietteria” per il 2017 spiccano, tra gli autonomi, la Galleria Borghese con 3,5 milioni di euro, seguita dalla Pinacoteca di Brera con 1,6 milioni di euro e tra gli altri da Castel del Monte del Polo della Puglia con 770 mila euro. La Pinacoteca di Brera é previsto che abbia quasi 192 mila euro di “Ricavi da servizi aggiuntivi” e 420 mila euro di “Contributi da privati”. La Galleria Borghese dovrebbe beneficiare di 150 mila euro di ricavi aggiuntivi per servizi ancillari (il bookshop etc).

I sussidiati. Pochi biglietti e molti “trasferimenti”
Ma oltre a questi dati, che certificano l’indiscussa attrattività e rafforzata fruibilità di alcuni Musei, ce ne sono altri assai meno lusinghieri. Specie in fatto di ricavi di biglietteria che sono spesso modesti, al di fuori degli spazi più celebri. Con scoperte sorprendenti: la Pinacoteca di Brera, ad esempio, vive al 78% di trasferimenti pubblici e solo per il 16% di entrate proprie (biglietti etc) più un contributo da privati del 5,3%. In soldoni incassa per ticket 1,3 milioni ma lo Stato deve mettercene dieci volte di più (11,9 milioni) per far fronte ai costi di personale, utenze e canoni etc.

Va ribadito che non è un investimento a perdere, ma è un dato su cui si può lavorare e infatti il preventivo 2017 punta a ridurre i trasferimenti pubblici ed aumentare le entrate proprie in un sistema virtuoso di compensazione che si vorrebbe far valere anche altrove. Ad esempio alle Gallerie Estensi che viaggiano al di sotto delle potenzialità delle collezioni esposte con 110mila euro di biglietti. I costi ammontano a 8,1 milioni e sono 95,9% trasferimenti pubblici (2,5 co tributi da privati). Per il resto, bisogna ripeterlo, non c’é da esultare per luoghi della cultura che per le loro specificità dovrebbero richiamare molti più visitatori. Non solo a Gioia del Colle, ad Egnazia, a Perugia, ma anche al Museo Archeologico Nazionale di Orvieto, al Tempietto a Campello sul Clitunno e al Castello Angioino di Copertino: mettete quest’ultimo su Google e otterrete oltre 77mila risultati. Il biglietto costa 5 euro (2,5 ridotto, gratis per i minorenni) e i ricavi di un anno di esercizio sono pari a poco più di 8mila euro. Significa che i “paganti”, nella migliore delle ipotesi, sono stati non più di qualche migliaio. Insomma, il museo colleziona più visite online che dal vero.

I tagli non compensati
Ce ne sarebbe già abbastanza per essere preoccupati. Sfortunatamente le criticità non sono finite. Ci sono anche i “costi” razionalizzati impropriamente, alla ricerca del bilancio in positivo. Circostanza che si verifica, sempre, nel caso dei tre musei autonomi, frequentemente, per i luoghi della cultura del Polo museale della Puglia, ma quasi mai per quelli del Polo museale dell’Umbria. Ad esempio la manutenzione, sia ordinaria che straordinaria. E la riduzione dei trasferimenti statali non adeguatamente compensata con entrate proprie. Alla Galleria Borghese per il 2017 sono destinati 297 mila euro, mentre l’anno precedente c’erano il doppio (579 mila). Alla Pinacoteca di Brera si é invece passati da 585 a 300 mila euro. Va meglio al Polo della Puglia, mentre situazione pressocché invariata si registra al Polo dell’Umbria.

Altro capitolo che ha subito decurtazioni significative sembra quello degli allestimenti museali e manutenzione immobili. Così alla Galleria Borghese si è passati da 255 a 100 mila euro, mentre alla Pinacoteca di Brera da 350 a 200 mila euro e alla Gallerie Estensi da quasi 448 a poco più di 381 mila. Il bilancio é importante, ma é fondamentale che in suo nome non si sacrifichino ulteriormente capitoli essenziali, come invece accade frequentemente. Ha ragione Franceschini, la “corretta rendicontazione è fondamentale per migliorare la gestione dei musei”. Rimane il fatto che senza una seria analisi dei risultati di bilancio e una coerente allocazione degli investimenti i musei italiani, che sono i nostri buoni del Tesoro, saranno sempre infruttiferi rispetto alle loro reali potenzialità.

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