Quando parla dell’Italia, Valentina sorride. “Ho un mondo in salotto. Mio marito è nigeriano, i miei due figli sono nati in Cina. Ma tornare per noi significherebbe essere dei disadattati”. Da 13 anni, ormai, Valentina Tuzi ha lasciato Spoleto e vive a Pechino. Da dieci anni lavora all’ambasciata italiana nel settore cooperazione e sviluppo. L’Italia? “Un vecchio ricordo”.

Valentina è arrivata per la prima volta in Cina nel 2003 come studentessa di Studi Orientali, grazie a una borsa di studio del ministero degli Esteri. “Vivevamo al dormitorio: letti senza materasso, bagni e cucine in comune”, ricorda. Qualche mese dopo conosce Paul, nigeriano, che sarebbe diventato suo marito. Nell’autunno del 2004 comincia a lavorare come insegnante di inglese e come interprete per diverse aziende italiane.

Dopo una breve parentesi in Italia, Valentina e suo marito decidono così di tornare in Cina perché, dice, “il richiamo era troppo forte”. È il 2007 quando arriva il lavoro all’ambasciata d’Italia a Pechino. “Mi sento straniera qui, ma ormai lo sono anche nel mio Paese. Non so come spiegarlo ma non ho più molti punti in comune con la gente italiana. Abitudini, punti di vista e diversi”.

“Mio marito è nigeriano, i miei due figli sono nati in Cina. Ma tornare per noi significherebbe essere dei disadattati”

A Pechino sembra quasi di vivere in un film: “Tutto ordinato, pulito, stabilito, circostanziato”. In certi momenti si ha la sensazione di trovarsi in una sorta di ‘Truman Show’, dove tutti intorno recitano una parte, ogni giorno. La giornata inizia alle 6, quando Valentina sveglia i suoi due figli per la colazione. “Facciamo il check della temperatura esterna e del livello di inquinamento, per decidere se indossare o meno la mascherina”, spiega. Il pulmino passa alle 7,20, le lezioni iniziano alle 7,50. Valentina arriva in bici o a piedi in ambasciata. Nel pomeriggio i suoi due figli si impegnano in attività extra-scolastiche come nuoto, calcio e kung-fu. Alle 19 si cena rigorosamente in pigiama, alle 20 l’appuntamento via Skype con i nonni in Italia e alle 21 si va a letto.

Valentina e famiglia tornano in Umbria d’estate, quando le giornate sono belle e c’è la possibilità di passare tanto tempo all’aperto: “Passeggiamo nei bellissimi centri storici della regione, ascoltiamo i racconti dei nonni, e ritroviamo tutto quello che a Pechino non abbiamo durante l’anno: l’aria e la famiglia”.

Pur mantenendo un contatto diretto con l’Italia, però, “non penso potrò mai tornare a viverci”, racconta. “Amo il mio Paese – continua –. Ma di un amore malsano, amaro ed opportunista, che troppo spesso sfocia in rancore”. Crescere i figli in Italia? Impossibile: “Le scuole italiane sono oramai antiquate, il Paese è rimasto indietro e il colore della pelle potrebbe diventare solo un problema”, insiste. Una volta al parco in Italia qualcuno – rivolgendosi ai suoi due figli – li ha chiamati ‘negri’. “Qui a Pechino non ci è mai successo”, ricorda. Francesco e Riccardo hanno rispettivamente 12 e 7 anni, parlano tre lingue (italiano, inglese e cinese) e frequentano le scuole inglesi della capitale: “Qui ci sono ragazzi di 50 nazionalità diverse, senza alcuna distinzione tra religione e colore della pelle. In Italia, invece, sarebbe un problema”.

“Le scuole italiane sono oramai antiquate, il Paese è rimasto indietro e il colore della pelle potrebbe diventare solo un problema”

L’obiettivo, comunque, è quello di tornare un giorno nella cara vecchia Europa. Il costo della vita a Pechino è diventato molto alto, soprattutto considerando che in Cina gli stranieri non hanno accesso all’istruzione pubblica e “siamo costretti a pagare di tasca nostra somme importanti per garantire un’istruzione ai nostri figli”.

Per Valentina l’Italia è come un nobile decaduto, che vive nel grande palazzo oramai diroccato: “Ho perso speranza nel nostro Paese – dice –, perché non investe sui giovani e sull’educazione. E così non ha alcun futuro”. Dopo due lauree, tre master e diversi lavori tra Italia, Olanda e Cina, Valentina a 38 anni vuole tirare il fiato: “Devo tutto alla Cina: mio marito, i miei figli, la mia vita professionale, tante amicizie e moltissime esperienze”. Anche se rivendica la sua libertà: “Non mi capacito di come le donne italiane facciano da cameriera alla casa e alla famiglia – continua – Io se non voglio cucinare non cucino. E per fortuna riesco a permettermi un aiuto domestico”, aggiunge. A Pechino nessuno ti chiede quale sia la tua origine, il tuo colore  o la tua religione. “Siamo più liberi che altrove – conclude Valentina –, anche se sappiamo di vivere in un Paese dove anche internet è censurato”.

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