Nelle questioni legate al cambiamento climatico la donna dovrebbe essere uno dei punti di riferimento per ogni discorso, a causa della sua importanza nella società e della sua maggiore vulnerabilità. Nel dibattito internazionale, al contrario, la rappresentanza femminile non è proporzionata ai rischi cui le donne sono esposte in caso di disastri ambientali. Nel contesto dell’imminente COP22 di Marrakech, è importante presentare il lavoro di quante, diplomatiche o attiviste locali, si stanno distinguendo nel campo della giustizia climatica.

di Federica Pastore

Mary Robinson, giurista e politica irlandese, nonchè prima donna ad essere stata eletta Presidente della Repubblica d’Irlanda (1990-1997), ha dedicato gran parte della sua vita e della sua carriera alla difesa dei diritti umani.

Durante il periodo in carica come Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (1997-2002) è riuscita a far integrare tali diritti all’interno dell’intero sistema delle Nazioni Unite. In qualità di accademica, legislatrice e avvocato ha sempre cercato di usare la legge come uno strumento per garantire che i bisogni (e i diritti) delle comunità e delle popolazioni più povere e vulnerabili fossero ascoltati e affrontati su scala globale.

Riconosciuta e rispettata a livello internazionale come voce diretta e autorevole nel campo dei diritti umani, nel 2002 fonda l’organizzazione Realizing Rights, con la quale si avvicina alla questione del cambiamento climatico e inizia a realizzarne pienamente le conseguenze negative già in atto e che stavano subendo innanzitutto le popolazioni – e in particolare le donne – dei paesi meno sviluppati. Per questo motivo, nel 2010, decide di dare vita alla Mary Robinson Foundation – Climate Justice, con lo scopo di diventare un punto di riferimento per l’educazione e l’advocacy nel campo della giustizia climatica: il rispetto dei diritti umani e dell’equità di genere sono infatti elementi imprescindibili per affrontare gli impatti del cambiamento climatico.

La Fondazione, attraverso importanti azioni di networking e leadership, è continuamente all’opera per far sì che donne leader di alto livello lavorino congiuntamente e sinergicamente con donne leader della società civile. Secondo Mary Robinson, la giustizia climatica è un tema morale per due motivi principali. Innanzitutto, perché ci costringe a capire quali siano i problemi e le sfide delle popolazioni più vulnerabili, portando così avanti un’azione climatica rapida e ambiziosa. Infine, perché ci informa su come dovremmo combattere contro il cambiamento climatico, cioè agendo in solidarietà.

“Comunicare il cambiamento climatico non è facile, ma focalizzando l’attenzione sulle persone, piuttosto che sugli aspetti più tecnici, si rende la minaccia più tangibile e comprensibile”, ha affermato Mary Robinson in una recente intervista. Cambiare la prospettiva è possibile e nel prossimo biennio (2016-2018) la sua Fondazione supporterà la creazione delle condizioni necessarie per ottenere un accesso equo allo sviluppo sostenibile e poter realizzare così una piena giustizia climatica. Fondamentale sarà la partecipazione attiva delle donne all’interno dei processi politici decisionali, il cui ruolo di motore del cambiamento si sta consolidando sia a livello locale sia a livello internazionale.

Ma l’impegno di Mary Robinson non si esaurisce con la sua Fondazione. Oltre a incarichi onorari nei consigli di amministrazione di molte organizzazioni internazionali, a livello Onu è stata Inviata Speciale per la Regione dei Grandi Laghi in Africa (2013) e Inviata Speciale per il Cambiamento Climatico (2014) fino al maggio 2016, quando il Segretario Generale Ban Ki-moon l’ha nominata Inviata Speciale delle Nazioni Unite per El Niño e il Clima.

Una dedizione alla causa del clima e dei diritti umani che traspare in ogni suo incarico e che mostra in ogni evento istituzionale a cui partecipa. Tra gli ultimi lo Un Paris Climate Agreement: Toward Entry into Force, un evento speciale organizzato dal Segretariato Generale delle Nazioni Unite il 21 settembre scorso e in cui Mary Robinson ha sottolineato l’importanza di una rapida entrata in vigore dell’Accordo di Parigi: “Prima tutti gli Stati lavoreranno insieme per implementare gli impegni assunti, più grande sarà la possibilità di raggiungere il target di riduzione della temperatura previsto dall’Accordo di Parigi, il quale rappresenta un prerequisito per la giustizia climatica“.

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