Viveva a Roma, dove lavorava come redattore della rivista clandestina Croce Nera Anarchica. Nella sua casa, è stato ritrovato il materiale necessario per costruire un ordigno. Ancora non si conosce la sua identità, ma ciò che si sa è che l’uomo fermato stamattina nella capitale, con l’accusa di terrorismo, è l’ottavo arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Scripta Manent”, coordinata dalla Procura di Torino.

Al centro delle indagini, gli iscritti all’associazione del Fai, la Federazione anarchica informale, che non ha niente a che fare con la Federazione anarchica italiana fondata a Carrara nel ’45. Si tratta della più importante sigla nella galassia anarco-insurrezionalista italiana, nata nel 2003, con legami internazionali che vanno dalla Russia al Sud America e una struttura orizzontale complessa, difficile da inquadrare per gli investigatori. Le prime operazioni erano scattate il 6 settembre scorso, e avevano portato – oltre all’arresto di sette persone – anche a perquisizioni in varie regioni italiane, dal Piemonte alla Sardegna, dalla Liguria al Lazio, passando per Emilia Romagna, Abruzzo, Campania e Umbria.

Appena 3 giorni dopo, la replica dei membri del Fai, che in una nota ufficiale dell’associazione avevano minacciato azioni violente in risposta all’azione dei magistrati. Con un obiettivo ben chiaro: il pm di Torino Roberto Sparagna, definitivo il “mandante dell’operazione”. “La solidarietà come la intendiamo noi è quella chi si fa azione”, scrivevano gli anarchici del Fai.

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