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‘Ndrangheta, tre imputati tornano liberi perché il giudice non ha scritto le motivazioni della sentenza

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando: "Ho chiesto agli ispettori del ministero di acquisire le notizie in merito a questa vicenda e verificare la veridicità di quelle notizie riportate ed eventualmente assumere le conseguenti iniziative"
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“Ho chiesto agli ispettori del ministero di acquisire le notizie in merito a questa vicenda e verificare la veridicità di quelle notizie riportate ed eventualmente assumere le conseguenti iniziative”. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando risponde così a chi chiede un commento sulla notizia, riportata da La Stampa, della scarcerazione nel processo per ‘ndrangheta “Cosa Mia” di tre imputati a causa del ritardo del deposito delle motivazioni della sentenza.

I tre imputati, secondo quanto riporta il quotidiano di Torino, sono stati condannati in primo grado e in appello, ma come prevede il codice sono tornati in libertà perché a undici mesi dalla pronuncia del verdetto non sono state depositate le motivazioni.

Cuore del processo il controllo delle cosche sui lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Nel 2013 la corte d’Assise decise la condanna di 42 imputati motivata poi con 3200 pagine. In appello il verdetto era rimasto sostanzialmente lo stesso. Restava da celebrare il terzo grado, ma considerato che la durata massima della custodia cautelare è di sei anni e i boss erano finiti in manette nel giugno 2010, i magistrati avrebbero dovuto scrivere i motivi del verdetto e metterli a disposizione delle parti entro 90 giorni. Ai difensori la legge concede 45 giorni per presentare un eventuale ricorso ai supremi giudici Cassazione. Agli ermellini sarebbero quindi rimasti sei mesi per decidere una conferma o un annullamento; se solo avessero ricevuto i documenti necessari. Il giudice estensore aveva chiesto una proroga, che è una prassi nei processi particolarmente complessi e con un elevato numero di imputati, di tre mesi. Ma non sono bastati.

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