Enav mette mano ai forzieri della società in vista della quotazione. Per convincere gli investitori a scommettere sulla terza privatizzazione dell’era Renzi, la società pubblica ha fatto sapere che staccherà una maxicedola da 95 milioni subito dopo il collocamento. Peccato però che buona parte di questa cifra non sarà finanziata dagli utili della società, ma dalle riserve che costituiscono ricchezza accantonata in passato dall’azienda pubblica che gestisce il traffico aereo italiano.

Con il collocamento del 49% di Enav, sin da subito circa 46 milioni di euro in cedole finiranno quindi nelle tasche dei privati che aderiranno all’offerta. “La motivazione della scelta, che in effetti non avrebbe precedenti in altre operazioni di privatizzazione, va ricercata probabilmente nella necessità di riconoscere agli investitori di lungo periodo un rendimento”, argomenta Il Sole 24 Ore ipotizzando un rendimento del 4-5 per cento. Ma sullo sfondo c’è anche la volontà dell’esecutivo di portare a termine con successo una privatizzazione necessaria per rispettare impegni presi con Bruxelles in vista della verifica di novembre: il collocamento del 49%, prevalentemente rivolto ai grandi investitori istituzionali, dovrebbe infatti consentire al Tesoro di incamerare poco meno di un miliardo. Si stima che l’intera società, per la quale è stato fissato un tetto al possesso azionario del 5%, valga fra 1,8 e 2 miliardi di euro.

Finora però la turbolenza dei mercati legata a Brexit non ha giocato a favore del progetto di privatizzazione: l’azienda ha fatto già slittare la quotazione, inizialmente prevista a giugno, dopo che già le Fs avevano rinunciato allo sbarco in Borsa valutando un’ipotesi di integrazione di Anas. Dal canto suo, il governo non può però permettersi il flop della quotazione dell’Enav. Di qui la promessa di remunerare bene i suoi azionisti non solo nell’anno del collocamento, ma anche negli anni seguenti allo sbarco in Borsa. “Per gli esercizi successivi, Enav prevede una politica di distribuzione dei dividendi basata su una percentuale non inferiore all’80% del flusso di cassa normalizzato, definito come l’utile netto consolidato con l’aggiunta degli ammortamenti (al lordo dei contributi in conto impianti) e al netto degli investimenti normalizzati (escludendo quindi gli investimenti finanziari) espressi al lordo dei contributi in conto impianti”, riferisce una nota della società che spiega come probabilmente anche in futuro sarà necessario far ricorso alle riserve per staccare le cedole ai soci. “La politica dei dividendi identificata potrebbe comportare una distribuzione annuale superiore all’utile netto distribuibile e pertanto l’eventuale utilizzo delle riserve distribuibili”, conclude il documento.

E pensare che lo scorso marzo il gruppo aveva ridotto il capitale e contestualmente costituito 400 milioni di riserve disponibili. Denaro che il management avrebbe potuto in parte utilizzare per investimenti e che comunque aveva escluso di distribuire in dividendi. Certo nulla esclude che i conti dell’azienda guidata da Roberta Neri possano migliorare e che quindi non si attinga alle riserve per pagare i dividendi. Anche se l’ultima trimestrale, chiusa al 31 marzo 2016, ha mostrato segnali di debolezza: Enav ha visto infatti crescere i ricavi (+5,3% a 168,4 milioni), ma ha registrato un risultato netto negativo di 8,8 milioni a causa delle perdite nella gestione finanziaria (-1,9 milioni). Nel dubbio, quindi, di un collocamento nel pieno di mercati stressati da Brexit e dalle turbolenze sul settore bancario, è per i futuri soci la promessa di un buon dividendo. Anche a costo di impoverire l’azienda.

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