Pagati in nero e obbligati a fare i volontari, con turni che vanno dalle 12 alle 36 ore consecutive”. Questa la denuncia dei lavoratori della Croce rossa italiana da quando, nel 2012, l’ente pubblico ha subito un processo di privatizzazione. “Si diceva che il dipendente pubblico costava troppo”, spiega Donatella Bassanello, dirigente sindacale Fials per la Croce Rossa. Così il decreto legislativo 178 del 2012 dava ai dipendenti della Cri una doppia scelta: mantenere il contratto pubblico (“e seguire la via dell’esubero”, come ha dichiarato nel 2014 Maurizio Gussoni, ex presidente di Cri Lombardia), o entrare nei meccanismo del contratto privatistico. Ma “con dei vincoli contrattuali abominevoli”, denunciano a ilfattoquotidiano.it i lavoratori a patto di mantenere l’anonimato per paura di perdere il posto. “So di gente a cui hanno fatto rinunciare all’obbligo dello stacco di 11 ore tra un turno e l’altro – continua un dipendente di Cri – Ma non si può stare alla guida di un’ambulanza per 36 ore. È pericoloso”. Oltre ai lavoratori, a subire le conseguenze sono anche gli stessi cittadini a cui può capitare di chiamare il 118. “Il problema fondamentale – chiude una volontaria della Cri – è che oggi sulle ambulanze abbiamo persone che non sono in grado di fare quel lavoro”. Alle denunce risponde il presidente uscente di Cri Lombardia, Maurizio Gussoni (leggi l’articolo): “Se qualche presidente lo permette, o addirittura lo impone, sarà mio compito chiedere al presidente nazionale Francesco Rocca di intervenire” di Elisa Murgese

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Croce rossa Italiana, l’ente risponde ai lavoratori: “Turni di 36 ore? Se è vero commissarieremo le sezioni”

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